Auspicabile l’introduzione delle ADR anche nel processo amministrativo, come già previsto per il rito civile.

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Letto 2755 dal 09/02/2015



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Nel corso della sua audizione in Senato tenutasi presso la VIII Commissione, relazione sul disegno di legge - Atto Senato 1678,  delega al Governo per l’adozione di un decreto legislativo per l’attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE del 26 febbraio 2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, rispettivamente sull’aggiudicazione dei contratti di concessione (…) e razionalizzazione dei metodi di risoluzione delle controversie alternativi al rimedio giurisdizionale, anche in materia di esecuzione del contratto -, il Presidente del Consiglio di Stato, dott. Giorgio Giovannini si è detto favorevole alla introduzione delle ADR all’interno dell’ordinamento processuale amministrativo e segnatamente nella fase dell’aggiudicazione e dell’esecuzione dei contratti.
L’idea di fondo muove dalla considerazione positiva che detti strumenti (ADR) ricevono nell’ambito della normativa europea e che, ove adeguatamente attuati, porterebbero ad una sensibile riduzione del contenzioso giudiziario anche nella giustizia amministrativa.
Per il Presidente del CdS, nell’ambito pubblicistico sarebbe utile affidare ad un soggetto terzo, imparziale ed indipendente, la risoluzione del contenzioso sorto tra le stazioni appaltanti e partecipanti alle selezioni.

Ecco lo stralcio dell’intervento del Presidente del Consiglio di Stato.
 
I rimedi alternativi di tutela. Un criterio di particolare interesse posto dal disegno di legge delega è quello contenuto nella lettera l) dell’art. 1, con il quale è demandata al legislatore delegato la razionalizzazione dei metodi di risoluzione delle controversie alternativi al rimedio giurisdizionale, anche in materia di esecuzione dei contratti. Per la verità questo criterio non mi sembra rispondere ad una previsione delle direttive e neppure a previsioni contenute delle direttive ricorsi che si sono succedute tra il 1989 ed il 2007.
Esso è però ugualmente da condividere, da un lato, perché è consonante con un generale orientamento dell’Unione europea favorevole a queste forme di rimedi, orientamento che, come è noto, si è espresso in materia civile e commerciale con la direttiva n. 52 del 2008 sulla mediazione. Il criterio è poi, d’altro lato, più in generale da condividere perché, ove adeguatamente attuato, potrebbe contribuire a realizzare una certa deflazione del contenzioso giudiziario. Per quanto in particolare riguarda la giustizia amministrativa, infatti, è vero, come ho accennato prima, che riusciamo a far fronte ai ricorsi in materia contrattualistica pubblica in tempi estremamente celeri. Ciò, però, avviene a discapito dell’altro contenzioso di nostra pertinenza, che per volontà della legge e per forza di cose finisce coll’essere posposto a detti ricorsi e vede così accrescersi i tempi di attesa delle decisioni.
L’introduzione e l’implementazione dei rimedi alternativi alla giurisdizione - e, cioè, le cosiddette a.d.r. (alternative dispute resolution) secondo l’acronimo anglosassone - pongono peraltro problemi diversi a seconda che attengano alla fase di aggiudicazione dei contratti, ovvero a quella della loro esecuzione. Quanto a quest’ultima, ci si trova in presenza di rapporti di diritto – obbligo di carattere patrimoniale correnti tra la stazione committente e l’affidatario del contratto e, dunque, il rimedio è di più agevole realizzazione, potendo assumere connotazione transattiva nelle più varie forme. Attualmente il codice dei contratti pubblici prevede l’istituto dell’accordo bonario, che è promosso o deciso da una commissione composta da tre membri o, per i contratti di minor valore, dallo stesso responsabile del procedimento. Francamente non so quanto statisticamente questo istituto abbia deflazionato il contenzioso giurisdizionale che, per questa fase, è di pertinenza del giudice ordinario. Tuttavia si potrebbe rafforzarlo, assicurando maggiori garanzie di indipendenza dei componenti o, quanto meno, del presidente della commissione, il quale potrebbe, ad esempio, essere nominato dall’Autorità anticorruzione, ovvero ad essa potrebbe essere rimessa la tenuta di un apposito registro di soggetti idonei a tale funzione, secondo requisiti predeterminati.
Più delicata è l’individuazione di possibili rimedi alternativi per le controversie che sorgono con riferimento alla fase di aggiudicazione dei contratti. Qui, infatti, ci troviamo in presenza di rapporti di potestà pubblica – interessi legittimi, correnti tra la stazione appaltante ed i partecipanti alle selezioni, situazioni soggettive queste le quali hanno la caratteristica dell’indisponibilità e che, quindi, non possono essere oggetto di strumenti lato sensu transattivi di alcun tipo. Forse la soluzione migliore sarebbe quella di affidare la risoluzione alternativa non giurisdizionale di tali controversie ad un organo che nell’ambito dell’apparato amministrativo dello Stato fruisca del massimo grado di neutralità e terzietà. E qui, ovviamente, la scelta non potrebbe – mi sembra – che cadere sull’Autorità nazionale anticorruzione, la qualeper la verità già ora, in base all’art. 6, comma 7, lett. u) del codice dei contratti pubblici, annovera tra i suoi compiti quello di esprimere, su iniziativa della stazione appaltante e di una o più delle altre parti, parere non vincolante relativamente a questioni insorte durante lo svolgimento delle procedure di gara, eventualmente formulando una ipotesi di soluzione. Si tratta di una competenza che è stata accuratamente disciplinata dalla stessa Autorità nei suoi profili procedimentali e che potrebbe allo scopo in questione essere ulteriormente valorizzata”.
 







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