Nelle mediazioni obbligatorie il Giudice può condannare la parte soccombente che non ha partecipato alla mediazione al pagamento di una somma di denaro che non superi le spese del giudizio.

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Avv. Sara Salmazo

Tribunale di Napoli, 25.05.2023, sentenza n. 5398, giudice Estensore Marco Papa

A cura del Mediatore Avv. Sara Salmazo da Padova.
Letto 1518 dal 26/12/2023

Commento:

Il caso in esame riguarda una vertenza in materia di detenzione di immobile senza titolo, nella quale gli attori chiedevano la restituzione dell’immobile e il risarcimento del danno, mentre i convenuti chiedevano il rigetto delle domande di controparte.

Il Tribunale ha ritenuto accoglibili le domande formulate dagli attori, condannando parte convenuta al rimborso delle spese di lite e ad una ulteriore somma per responsabilità aggravata ex art. 96, terzo comma, c.p.c., precisando quanto segue:
  • il procedimento di rilascio dell’immobile occupato senza titolo è soggetto all’obbligatoria procedura di mediazione quale condizione di procedibilità ex art. 5 D. Lgs. 28/10, in quanto concernente materie quali quella locatizia e dei diritti reali;
  • ai sensi del nuovo art.12 bis comma 3 del D .Lgs.28/201, nei casi di mediazione obbligatoria, il giudice può condannare la parte soccombente che non ha partecipato alla mediazione al pagamento in favore della controparte vittoriosa di una somma equitativamente determinata in misura non superiore nel massimo alle spese del giudizio maturate dopo la conclusione del procedimento di mediazione;
  • si tratta di una sanzione pecuniaria liquidata a favore della parte vittoriosa in giudizio, forgiata sul modello di cui all'art. 96, comma 3, c.p.c. e volta a punire condotte ostruzionistiche e non collaborative della parte chiamata in mediazione, che risulti poi soccombente all'esito della lite. *

Testo integrale:

TRIBUNALE DI NAPOLI
SENTENZA
 
nella causa civile iscritta al numero ___/2018 del ruolo generale degli affari contenziosi civili avente ad oggetto: azione personale di restituzione immobile detenuto sine titulo , risarcimento del danno e azione di riconduzione ex art. 13 comma 5 L. 413/1998 nella formulazione vigente sino al 31/12/2015, e vertente
 
TRA

___ con codice fiscale ___ , ___

E

___ con codice fiscale ___ 

CONCLUSIONI : le parti concludono come da verbale di udienza dell' ___
 
MOTIVI DELLA DECISIONE
 
Con l'atto di citazione introduttivo del presente giudizio ___ ___ ___ ___ ___ ___ e ___ hanno dedotto di essere comproprietari, per le rispettive quote, dell'immobile sito in Napli alla via C. n. _, piano quarto, identificato nel N.C.E.U. del Comune di Napoli alla ___ SEC, Foglio , part. , sub. 17-Z.C. 4, ctg. ___  3, cl. 2, Cons. 3,5 vani, RC € 262,10. A loro dire, sin dal 9/1/2011 detto appartamento era stato concesso in locazione, con contratto verbale, in favore di ___ e ___ per un canone annuo di euro 7.800, pari ad euro 400 mensili, oltre il pagamento degli oneri accessori pari ad euro 15 mensili. Di qui la denuncia in data ___, su iniziativa di ___ per sè e per i comproprietari, presso l'___ delle ___ - ___ di ___ del predetto contratto verbale, con registrazione al n. 200/3, stante l'asserito rifiuto dei conduttori alla regolarizzazione del rapporto locativo in essere.
Più precisamente, secondo l'assunto attoreo, sino alla data del ___ lo ___ e la ___ avrebbero provveduto a versare il pattuito canone, per poi interrompere dal mese di ___ e sino al mese di ___ il versamento sia dei canoni che degli oneri condominiali mensili, maturando una debitoria per canoni/indennità di euro 28.400.00 ed una debitoria per oneri condominiali di euro 1.065,00 per una cifra complessiva di euro 29.480.00.
Gli attori hanno allegato che il comportamento inadempiente dei conduttori, pur continuando questi ultimi a godere del bene, era proseguito, ed hanno chiesto la loro condanna alla restituzione dell'immobile nonché al risarcimento del danno nella misura di euro 29.480.00. Per tale motivo hanno citato lo ___ e la ___ in giudizio con l'invito a comparire dinanzi al Tribunale di Napoli per l'udienza del 28/3/2019 . I coniugi ___ e ___ si sono costituiti con comparsa di risposta depositata in ___ il ___, e quindi tardivamente rispetto al termine ex art. 166 c.p.c. di venti giorni anteriori all'udienza di prima comparizione indicata in citazione, ed hanno asserito che in data ___ ___ aveva concesso loro in locazione, per uso abitativo e per un canone mensile di euro 400,00 l'appartamento di sua proprietà, sito in Napoli alla via C n. _ piano  int. 8, e che già dal 4/12/2011 era stata consentita la detenzione qualificata della casa oggetto della locazione. ___ avrebbe promesso nell'occasione di stipulare e registrare un regolare contratto scritto di locazione. I resistenti hanno allegato che per loro sarebbe stato fondamentale redigere un contratto scritto, per due motivi: a) per regolarizzare, con la scrittura, il contratto de quo sia in relazione all'aspetto fiscale sia per dare consistenza giuridica al negozio; b) per essere detti conduttori disoccupati e senza reddito, con conseguente diritto a ricevere il contributo comunale ex lege 431/1998 e ___ del Ministero dei ___ del 7/6/1999. Tuttavia, a dire dei convenuti, nel mese di ___ del 2012 la ___ avrebbe comunicato loro non avere intenzione alcuna di redigere un contratto scritto, impedendo ai conduttori di partecipare al bando posto in essere dal Comune di Napoli (Disposizione dirigenziale n. __ del 15/12/2011 posta in essere dalla ___ e logistica - servizio assegnazione immobili __ del Comune di Napoli, alleg. n° 2 della produzione dei convenuti), cosicchè essi dal mese di ___ non corrisposero più il canone mensile. I resistenti hanno altresì proposto domanda riconvenzionale per la tacita riconduzione del rapporto ai sensi dell'art. 13 comma 5 L. 431/1998, nella formulazione vigente all'epoca dell'inizio della occupazione dell'immobile, e per tale motivo hanno chiesto di determinare ex tunc il canone dovuto nei limiti di quello definito dagli accordi delle associazioni locali dei proprietari e dei conduttori ai sensi del comma 3 dell'art 2 L. 431/1998, e quindi la trasformazione della locazione di fatto invalida, perché stipulata verbalmente, in un rapporto di locazione valido del tipo legale.
Nel corso del processo parte attrice ha asserito che con atto di divisione del 6/3/2019, a rogito del notaio ___ rep. N. 2143 - Racc. 1647, trascritto in Napoli il ___, al ___ Gen. 7781_77 - ___ Part. 592930, essi attori si erano determinati a consolidare le rispettive quote sui beni sino ad allora in comunione, e che in particolare per il bene oggetto del presente giudizio, unica proprietaria, per effetto della indicata divisione, era diventata ___.
Ciò premesso, deve ritenersi pacifico che sulla base di un accordo verbale del 2011 i convenuti hanno conseguito il godimento dell'appartamento per cui è causa, assumendo l'obbligo di versare un corrispettivo pari ad euro 400,00 mensili, secondo lo schema tipico previsto dall'art. 1571 c.c., concordando su tali punti le allegazioni di tutte le parti.
Si è così costituito un rapporto di locazione ad uso abitativo in violazione dell'art. 1 comma 4 della L. 431/1998, che recita: "a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, per la stipula di validi contratti di locazione è richiesta la forma scritta". Più in particolare, dal combinato disposto degli artt. 1 e 13 legge n. 431 del 1998, come interpretati - nella loro originaria formulazione - dalle ___ con la sentenza n. 18214 del 2015, deriva che: 1) Il contratto di locazione avente ad oggetto immobili ad uso abitativo è soggetto all'obbligo di forma scritta ad substantiam; 2) Il mancato rispetto della predetta forma rende il contratto affetto da una nullità assoluta, rilevabile da entrambe le parti e d'ufficio, attesa la "ratio" pubblicistica del contrasto all'evasione fiscale; 3) Alla regola della nullità assoluta fa eccezione l'ipotesi prevista dall'art. 13 comma 5 L. 431/1998, per l'ipotesi in cui la forma verbale sia stata abusivamente imposta dal locatore, nel qual caso il contratto è affetto da nullità relativa di protezione, denunciabile dal solo conduttore. Il principio è stato ribadito da Cassazione sez III sentenza 5794 del 2019, che si è pronunciata nei medesimi termini in relazione ad un contratto verbale del 2012, sorto per l'appunto nel vigore del testo dell'art 13 comma 5 L. 431/1998 nella formulazione anteriore alla legge di stabilità per il 2016 (legge 8/12/2015 n. 208).
La prescrizione della forma scritta, difatti, appare volta essenzialmente a tutelare l'interesse alla trasparenza del mercato delle locazioni in funzione dell'esigenza di un più penetrante controllo fiscale, esigenza avvertita in modo significativo in un settore, quello delle locazioni, dove, a causa della precedente disciplina dirigistica, il fenomeno dell'evasione era divenuto inarginabile. E proprio il collegamento funzionale (anche se non strutturale) tra forma scritta e registrazione del contratto apparve e tuttora appare particolarmente significativo in tal senso.
Nella cornice normativa e giurisprudenziale delineata è intervenuta, in un secondo momento, la legge n. 208 del 2015, che ha modificato sensibilmente l'art. 13 legge n. 431 del 1998. La nuova norma prevede, al comma 1, che: “È nulla ogni pattuizione volta a determinare un importo del canone di locazione superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato. È fatto carico al locatore di provvedere alla registrazione nel termine perentorio di trenta giorni, dandone documentata comunicazione, nei successivi sessanta giorni, al conduttore ed all'amministratore del condominio, anche ai fini dell'ottemperanza agli obblighi di tenuta dell'anagrafe condominiale di cui all'articolo 1130, numero 6), del codice civile”. Al comma 6 viene stabilito che: “Nei casi di nullità di cui al comma 4 il conduttore, con azione proponibile nel termine di sei mesi dalla riconsegna dell'immobile locato, può richiedere la restituzione delle somme indebitamente versate. Nei medesimi casi il conduttore può altresì richiedere, con azione proponibile dinanzi all'autorità giudiziaria, che la locazione venga ricondotta a condizioni conformi a quanto previsto dal comma 1 dell'articolo 2 ovvero dal comma 3 dell'articolo 2. Tale azione è, altresì, consentita nei casi in cui il locatore non abbia provveduto alla prescritta registrazione del contratto nel termine di cui al comma 1 del presente articolo. Nel giudizio che accerta l'esistenza del contratto di locazione il giudice determina il canone dovuto, che non può eccedere quello del valore minimo definito ai sensi dell'articolo 2 ovvero quello definito ai sensi dell'articolo 5 commi 2 e 3, nel caso di conduttore che abiti stabilmente l'alloggio per i motivi ivi regolati, l’autorità giudiziaria stabilisce la restituzione delle somme eventualmente eccedenti”.
La principale novità introdotta dal legislatore del 2016 concerne pertanto l'azione di riconduzione, trasposta dal comma 5 al comma 6 e completamente riformulata nella descrizione dei presupposti applicativi.
Tuttavia, nel caso concretamente in esame, la locazione risale sicuramente a data anteriore alla entrata in vigore della normativa di riforma, per cui la disciplina dettata dalla legge di stabilità per il 2016 non viene affatto in rilievo e si applica, ratione temporis, l'originario comma 5.
Va evidenziato invece un ulteriore profilo di nullità, quello della mancata registrazione del contratto, che è rilevabile di ufficio. In proposito, alla registrazione tardiva del contratto di locazione, effettuata dalla ___ deve riconoscersi efficacia sanante ex tunc.
Infatti, l'articolo 1, comma 346 della Legge 311/2004 collega la nullità del contratto esclusivamente alla sua omessa registrazione, tacendo con riguardo all'ipotesi in cui venga registrato tardivamente. In sintesi, non essendo prevista una specifica sanzione di nullità per il ritardo, almeno per le fattispecie di occupazione perfezionatesi prima della entrata in vigore del nuovo comma 6 della L. 431/1998, che invece ha stabilito un termine perentorio per la registrazione della locazione abitativa, il contratto che sia stato registrato è comunque valido ed efficace, configurandosi la registrazione tardiva come mera violazione di disposizioni di rilievo tributario e non quale causa di nullità, sempre con riguardo alle locazioni abitative stipulate, anche solo in punto di fatto, prima del 2016. Il principio è confermato dall'articolo 10 comma 3 dello ___ dei diritti del contribuente.
La registrazione provoca un effetto sanante ex tunc, retroagendo alla data di conclusione del negozio, considerata l'evidente anomalia della vicenda, che diacronicamente alterna una fase di totale invalidità ed inefficacia del rapporto proprie della disciplina della nullità ad una di stabilizzazione definitiva degli effetti del contratto che può dare l'efficacia sanante retroattiva ( v. Cass. civ. sez. III, 20/12/2019, n. ___ ).
In altri termini, in caso di tardiva registrazione, da ritenersi consentita in base alle norme tributarie, la locazione può comunque produrre i suoi effetti con decorrenza “ex tunc”, atteso che il riconoscimento di una sanatoria “per adempimento” è coerente con l'introduzione nell'ordinamento di una nullità ___ “per inadempimento” all'obbligo di registrazione” (v. sul punto Cass. civ. sez. un., 9/10/2017, n. 23601; Cass. civ. sez. III, III, 28/4/2017, n. 10498; Cass. civ. sez. III, 24/9/2019, n. 23637).
Tuttavia la denuncia e la successiva registrazione di un contratto di locazione verbale non spiegano effetti sananti per quanto attiene alla pregressa nullità del rapporto locatizio ad uso abitativo, derivante dall'omesso rispetto della forma scritta prescritta ad substantiam dall'art. 1 comma 4 L. n. 431/1998, con la conseguenza che i soggetti eventualmente presenti nei locali assumono la posizione di occupanti abusivi dell'immobile, in assenza di un valido titolo contrattuale (v. Trib. Bari, ___ ; Trib. Firenze, ___ ).
Tale ultima nullità non è stata dunque sanata ed è inoltre rilevabile di ufficio, nel momento in cui i conduttori non hanno articolato alcun mezzo di prova diretta per dimostrare che era stata la ___ o comunque uno degli altri attori ad imporre la forma orale del rapporto, prova che era a loro carico, data la affermazione di parte attrice sulla circostanza che erano stati i conduttori a rifiutare di formalizzare la locazione, e che costituisce il presupposto per la rilevabilità della nullità solo su eccezione del conduttore (v. sul punto ___ sez. II, 8/1/2019, n. 1356).
Inoltre i resistenti hanno proposto la domanda riconvenzionale di riconduzione della locazione con una comparsa di risposta depositata in ritardo rispetto al termine di decadenza previsto dall'art. 166 c.p.c. per la costituzione dei convenuti.
Tale tardività è stata eccepita espressamente da parte attrice ed è comunque rilevabile d'ufficio, essendo previsto a pena di decadenza dagli artt. 166 e 167 secondo comma c.p.c. il termine di proposizione di tale domanda con la comparsa di risposta da depositare almeno venti giorni prima dell'udienza di comparizione, con conseguente inammissibilità in punto di rito della riconvenzionale, che va dichiarata in questa sede.
Al contrario, va accolta nel merito la domanda di restituzione proposta dagli attori, alla luce della nullità del contratto di locazione stipulato in forma verbale e rilevabile di ufficio, e quindi della abusività della occupazione del bene da parte dei coniugi ___ e ___ In proposito, la domanda attorea ha per oggetto immediato la restituzione di un immobile asseritamente detenuto sine titulo dai convenuti, ma tale espressione ( occupazione senza titolo ) non individua, nel sistema positivo processuale e sostanziale, alcuna azione tipica dotata di peculiari caratterizzazioni e autonome regole, processuali e sostanziali, specifiche.
Al contrario, dietro tale terminologia possono celarsi azioni che, seppur condividendo il medesimo petitum, consistente nella richiesta di restituzione di un bene immobile detenuto da altri asseritamente senza alcuna legittimazione, differiscono profondamente tra loro in relazione alla causa petendi, causa petendi dalla cui individuazione viene a dipendere, non solo la stessa qualificazione giuridica della domanda proposta, ma altresì, e soprattutto, il regime processuale e sostanziale applicabile alla fattispecie, anche in punto di oggetto e riparto dell'onere della prova.
In particolare, in materia di occupazione senza titolo, da un lato, la domanda di restituzione potrebbe trovare fondamento sulla base del dedotto venir meno di un rapporto negoziale di natura obbligatoria intercorrente tra le parti, che legittimava l'altrui detenzione dell'immobile in questione — a causa di vizi genetici dell'accordo contrattuale o per difetti strutturali dello stesso, che ne comportino la nullità o l'annullabilità, ovvero a causa di sopravvenuti disfunzioni causali del medesimo accordo, che ne comportino la risoluzione per inadempimento o per impossibilità sopravvenuta, ovvero, ancora, per la naturale cessazione dell'efficacia del rapporto stesso per il decorso del termine di durata o per recesso; dall'altro lato, la stessa domanda potrebbe del tutto prescindere dalla deduzione, ab origine, di alcun rapporto di natura negoziale instauratosi tra le parti, per basarsi esclusivamente sulla dedotta altrui detenzione o possesso privo di alcun titolo giuridico giustificativo, inesistente ab origine o successivamente caducato.
Nel primo caso l'azione di restituzione esercitata ha natura prettamente personale ed è caratterizzata dalla relatività, nel secondo caso, invece, essa non può che essere inquadrata nell'azione reale di rivendica, dato che «non è azione di restituzione ma di rivendicazione quella con cui l'attore chieda di dichiarare abusiva ed illegittima l'occupazione di un immobile di sua proprietà da parte del convenuto, con conseguente condanna dello stesso al rilascio del bene ed al risarcimento dei danni da essa derivanti, senza ricollegare la propria pretesa al venir meno di un negozio giuridico, che avesse giustificato la consegna della cosa e la relazione di fatto sussistente tra questa ed il medesimo convenuto» ( Cass. SS.UU. ___ n. 7305).
Tanto emerge dai precedenti della giurisprudenza di legittimità sulla questione (Cass. ___ n. 884; Cass. ___ n. 26003; Cass. ___ n. 24921; Cass. ___ n. 1929; nonché, da ultimo, Cass. SS.UU. ___ n. 7305). Nel caso di specie per l'appunto è stata dedotta la mancata formalizzazione per iscritto di un rapporto di locazione abitativa, nullo proprio per tale motivo, per cui la domanda attorea ha natura personale e non soggiace all'onere della probatio diabolica propria della rivendica.
Nel merito, il fatto della occupazione del bene è stato ammesso dagli stessi resistenti, e in mancanza di un valido titolo alla base della detenzione trattasi di occupazione abusiva. Di qui l'accoglimento della domanda restitutoria proposta da parte attrice e la condanna dei convenuti al rilascio immediato del bene in favore di tutti loro, non operando la previsione di cui all'art. 56 comma 3 L. 392/1978 e non rilevando neppure la circostanza che la proprietà esclusiva faccia capo attualmente alla sola ___ trattandosi di domanda non reale ma personale, ed essendo stata nel 2011 la locazione di fatto stipulata da uno dei comproprietari nell'evidente interesse anche degli altri.
In aggiunta gli attori hanno chiesto in citazione il risarcimento del danno da essi patito in relazione alla occupazione abusiva dell'immobile, quantificandolo nella misura complessiva di euro 29.480,. Trattasi di domanda risarcitoria da illecito extracontrattuale ex art. 2043 c.c., nel momento in cui è stato fatto riferimento ad un pregresso rapporto obbligatorio, ma affetto da nullità. Ora, in materia di occupazione senza titolo di bene immobile, anche a non voler ritenere che si sia in presenza di un danno in re ipsa , tale locuzione va sostituita con quella di “danno presunto” o “danno normale”, privilegiando la prospettiva della presunzione basata su specifiche circostanze da cui inferire il pregiudizio allegato ( v. Cass. civ. sez. un., 15/11/2022, n. ___ ).
Ricorre, in altri termini, una presunzione iuris tantum circa l'esistenza di un danno connesso alla perdita di disponibilità del bene ed all'impossibilità di conseguirne la relativa utilità (cfr., tra le altre, Cass. civ. sez. I, 20/11/2018, n. 29990).
Lo specifico pregiudizio subìto, allegato dalla parte attrice, consiste nel fatto che essa aveva concesso il bene in godimento verso un canone di euro 400,00 e di euro 15,00 per ogni mese, e nella vicenda in esame è stata dimostrata l'utilizzazione ad opera dei convenuti del bene immobile descritto nell'atto introduttivo del presente giudizio.
La liquidazione del danno da occupazione illegittima ben può essere operata dal ___ sulla base di presunzioni semplici, con riferimento al cd. danno figurativo, quale per l'appunto il valore locativo del bene, o meglio ancora, con valutazione equitativa, se del caso mediante il parametro del canone locativo di mercato (cfr. Cass. civ. ___/2022 cit.).
Parte attrice in proposito si è limitata ad indicare quale è secondo lei tale valore, che non è stato contestato dai convenuti, i quali hanno anzi ammesso che era stato pattuito proprio un canone di euro 400,00. Di qui l'accoglimento anche di tale domanda attorea, con condanna dei convenuti al pagamento della somma richiesta in citazione, corrispondente al danno maturato alla data della notifica di tale atto introduttivo del giudizio.
Le spese, ivi compresa quella relativa al contributo unificato, seguono la soccombenza ex art. 91 comma 1 c.p.c. e vengono liquidate come da dispositivo, in considerazione del valore della controversia individuato ai sensi degli artt. 5 ss. del D.M. 10/3/2014 n. 55 , come modificato dal D.M. 13/8/2022, n. 147 , da applicare alle prestazioni professionali esaurite successivamente alla sua entrata in vigore, e 14 comma 1 c.p.c. e quindi dello scaglione di valore corrispondente, e 12 c.p.c., e quindi dello scaglione di valore corrispondente, che coincide con quello che secondo la domanda attorea è il valore locativo annuale ( v. Cass. civ. sez. II, 20/3/1999, n. 2603), pari nella fattispecie ad euro 4.800 (400 x 12). A tale valore va aggiunto quello della domanda risarcitoria attorea, parimenti oggetto di accoglimento nella misura di euro 29.480, per un totale di euro 34.280,00.
La liquidazione va effettuata per tutte le fasi contemplate dall'art. 12 comma 3 del medesimo regolamento ministeriale e con l'applicazione per i compensi dei livelli medi previsti dalla ___ n. 2 allegata al decreto, che si riferisce ai giudizi di cognizione ordinaria, in ottemperanza alla regola stabilita dall'art. 4 comma 1 (nel senso che il ___ è tenuto a specificare i criteri di liquidazione del compenso solo in caso di scostamento apprezzabile dai parametri medi v. Cass. civ. sez. VI, 13/5/2022, n. 15392 e Cass. civ. sez. VI, 25/5/2020, n. 9542).
A tale importo vanno comunque aggiunti l'IVA e la CPA se documentate con fattura quali accessori delle spese legali (cfr. Cass. civ. sez. III, 8/11/2012, n. 19307) nonchè il 15% sui compensi a titolo di rimborso forfettario ex art. 2 comma 2 D.M. 10/3/2014 n. 55, che è dovuto “in ogni caso” e quindi segue automaticamente la condanna pronunciata ex art. 91 comma 1 c.p.c. (v. Cass. civ. sez. III, 8/7/2010, n. 16153).
Insieme con la pronuncia di condanna alle spese, viene emessa altresì di ufficio apposita statuizione di condanna in danno della parte soccombente al pagamento di una somma ai sensi dell'art. 96 comma 3 c.p.c., atteso che ___ e ___ hanno agito in via riconvenzionale e resistito in giudizio pretestuosamente.
Invero l'art. 45, comma 12, L. ___ n. 69, ha aggiunto un comma 3 all'art. 96 c.p.c. ed in tal modo ha introdotto una vera e propria pena pecuniaria indipendente sia dalla domanda di parte, sia dalla allegazione e dalla prova del danno causalmente derivato alla condotta processuale dell'avversario (v. sul punto Cass. civ. sez. I, 30/7/2010, n. 17902).
Si tratta, in altri termini, di una norma che inserisce nell'ordinamento giuridico italiano una forma di danno punitivo o esemplare ( v. ___ 7/12/2010 ), per scoraggiare l'abuso del processo in pregiudizio della parte vittoriosa e preservare la funzionalità del sistema giustizia, ciò che esclude la necessità di un danno di controparte, pur se la condanna è prevista a titolo di indennizzo a favore di quest'ultima e non dello Stato ( cfr. ___ ___ 22/11/2010 ), e che sotto quest'ultimo profilo prevede una pena privata.
La competenza funzionale sulla decisione ex art. 96 comma 3 c.p.c., al pari di quella sulla domanda proposta ex art. 96 comma 1 c.p.c. (v. su quest'ultimo punto Cass. civ. sez. II, 26/1/2004, n. 1322), si radica sempre in capo al ___ competente a conoscere della domanda principale, la cui competenza viene individuata dal valore della domanda, il che significa che la pronuncia ex art. 96 comma 3 c.p.c. ha natura accessoria rispetto alla decisione sull'oggetto della domanda principale.
In proposito, la eventuale istanza formulata ex art. 96 c.p.c., trovando il suo naturale ambito solo all'interno del processo, quasi come se fosse un'estensione della decisione sulle spese, non è comunque equiparabile ad una domanda riconvenzionale ( v. sul punto Cass. civ., sez. III, 16/6/1997, n. 5391).
La norma punisce quelle stesse condotte che, pur essendo espressione di un diritto costituzionalmente garantito quale quello di difesa previsto dall'art. 24 comma 1 Cost., possono essere considerate «ingiuste», cioè contra ius, e tutela in via diretta sia l'interesse pubblico al buon andamento e all'efficienza del servizio della giustizia civile, in applicazione dell'art. 97 comma 1 Cost. e, più in particolare, il principio della ragionevole durata dei processi di cui all'art. 111 comma 2 Cost. (efficienza e ragionevole durata che dovrebbero essere garantiti dalla diminuzione del contenzioso, mediante l'eliminazione delle cause pretestuose o strumentali), posto che prescinde dalla esistenza di un danno per la controparte ( v. Cass. civ. sez. III, 29/9/2016, n. 19285) e che soprattutto la relativa condanna può essere pronunciata di ufficio, in deroga rispetto al principio dispositivo di cui all'art. 112 c.p.c. che informa il processo civile, ed ha quindi natura afflittiva più che risarcitoria (l'accentuazione della rilevanza della funzione del nuovo istituto quale presidio a tutela di interessi pubblici è espressa da ___ Roma, sez. Ostia, sent. ___ e ___ Roma, sent. ___ , ed in particolare da ___ Varese, sent. ___ , nonché da Cass. pen. sez. VI, 11/2/2011, n. 5300), sia l'interesse specifico della controparte ad una durata ragionevole del processo al fine di ottenere una pronta ed efficace risposta di giustizia e ad evitare di essere coinvolta in una lite ingiusta, perché l'importo della pena pecuniaria va in suo favore, e non dello Stato, atteso che già il solo fatto di dovere sostenere un giudizio civile, affrontandone comunque i costi notoriamente non indifferenti e i disagi conseguenti in termini di durata della pendenza e incertezza di soluzione, costituisce un obiettivo pregiudizio. ___ del legislatore è di assicurare una maggiore effettività, ed una più incisiva efficacia deterrente, allo strumento deflattivo apprestato da tale condanna, sul presupposto che la parte vittoriosa possa, verosimilmente, provvedere alla riscossione della somma, che ne forma oggetto, in tempi e con oneri inferiori rispetto a quelli che graverebbero su di un soggetto pubblico (v. Corte costituzionale, 23/6/2016, n. 152).
Recentemente all'art. 96 c.p.c. è stato comunque aggiunto dal D.Lgs. 2022 n. 149, un quarto comma, che contiene, con riguardo ai giudizi introdotti nella vigenza della cd. riforma Cartabia, la previsione per cui nei casi di responsabilità aggravata, come disciplinati dal primo, secondo e terzo comma di tale disposizione, il giudice commina alla parte soccombente una sanzione pecuniaria, determinata in una somma di denaro non inferiore ad euro 500,00 e non superiore ad euro 5.000,00, da versarsi a favore della ___ delle ___ a compensazione del danno arrecato all'___ della giustizia per l'inutile impiego di risorse speso nella gestione del processo. Quindi per la prima volta il legislatore, nel tentativo di rendere effettivi i doveri di leale collaborazione delle parti e dei terzi, statuisce che l'___ della giustizia debba essere riconosciuta come soggetto danneggiato nei casi di responsabilità aggravata della parte soccombente, la quale sarà soggetta a una sanzione, la cui misura minima e massima è fissata direttamente dalla norma, da versarsi in favore della ___ delle ___
In tal senso può concludersi che in tanto è legittima la limitazione del diritto costituzionale di difesa in giudizio operata dall'art. 96 comma 3 c.p.c. in quanto è posta a tutela di altri interessi, di natura pubblicistica e di pari rilievo costituzionale, costituiti dalla efficienza della amministrazione della giustizia e dalla ragionevole durata dei processi, cui viene data la prevalenza dalla norma in esame. In altri termini, “con la nuova previsione dell'art. 96 viene introdotta una fattispecie a carattere sanzionatorio che prende le distanze dalla struttura tipica dell'illecito civile per confluire nelle c.d. condanne punitive, e con la quale il giudice può (e, invero, deve) responsabilizzare la parte ad una giustizia sana e funzionale, scoraggiando il contenzioso fine a sé stesso che, aggravando il ruolo del magistrato e concorrendo a rallentare i tempi di definizione dei processi, crea nocumento alle altre cause in trattazione mosse da ragioni serie e, spesso, necessità impellenti o urgenti nonché agli interessi pubblici primari dello Stato.” ( ___ Varese, 23/1/2010).
Si tratta di interessi valorizzati anche dalle ultime sentenze delle ___ civili della ___ (v. in particolare per il principio di ragionevole durata del processo Cass. civ. sez. un., 13/6/2011, n. 12898 nonché 26/1/2011, n. 1764), rientrando nella discrezionalità del legislatore far prevalere l'uno o l'altro interesse di eguale rango, purchè tale scelta non sia irrazionale (cfr. sul punto Corte cost. ord. 568/1987).
Il nuovo rimedio processuale previsto dall'art. 96 comma 3 c.p.c. ha invero una finalità di deterrenza, di deflazione del contenzioso civile strumentale e temerario, e non si limita a ristorare la parte vittoriosa dal pregiudizio subìto per essere stata coinvolta in un processo ingiusto.
Tale intento è rivelato non solo dai lavori preparatori ma anche dal precedente legislativo costituito dall'ormai abrogato art. 385 comma 4 c.p.c., come presa d'atto dell'inadeguatezza a tale fine dell'istituto della responsabilità processuale aggravata di cui al comma 1 dell'art. 96 c.p.c., nonché dagli elementi costitutivi della fattispecie sopra evidenziati relativi in primo luogo alla pronunciabilità di ufficio (sulla rilevabilità di ufficio come indice della sussistenza di un interesse pubblico v. Cass. civ. sez. I, 7/4/2000, n. 4376 e Cass. civ. sez. III, 27/9/2011, n. 19730) e poi alla irrilevanza, ai fini della configurazione della fattispecie di cui al comma 3, di un pregiudizio effettivo per la controparte, derivante dalla lite temeraria. La pronuncia ex art. 96 comma 3 c.p.c., che per l'appunto può essere emessa d'ufficio, non ha limite nella determinazione dell'importo massimo della condanna, a differenza di quanto previsto dall'ormai abrogato art. 385 comma 4 c.p.c., ed è discrezionale dunque sia nell' an che nel quantum. Essa non abbisogna neppure della preventiva instaurazione del contraddittorio ex art. 101 comma 2 c.p.c., costituendo "posteríus" e non "prius" logico della decisione di merito (cfr. ___ di ___ 15/11/2011) della condanna ex art. 96 comma 3 c.p.c., per la sua natura ibrida di pena pecuniaria privata e nello stesso tempo finalizzata alla tutela di interessi pubblici, costituisce una assoluta novità per l'ordinamento giuridico italiano, anche rispetto alla precedente previsione, abrogata proprio contestualmente alla sua introduzione, dell'art. 385 comma 4 c.p.c.
Essa si inserisce in una linea di tendenza inaugurata nel 2006 con la riforma dell'art. 92 comma 2 c.p.c., laddove il legislatore ha imposto di motivare specificamente la compensazione ed ha richiesto il presupposto di gravi ed eccezionali ragioni in sostituzione dei giusti motivi, con il chiaro intento di favorire l'accollo delle spese in base al principio della soccombenza, e nel contempo ha introdotto l'art. 385 comma 4 c.p.c., successivamente abrogato, sulla condanna per lite temeraria nel giudizio di ___.
Tale linea di tendenza è proseguita nel 2009 per l'appunto con l'introduzione dell'art. 96 comma 3 c.p.c. e successivamente con la nuova formulazione, inserita con l'art. 27 L. 12/11/2011 n. 183, dell'art. 283 comma 2 c.p.c. Una ulteriore innovazione legislativa in materia è costituita dalla previsione del cosiddetto filtro di inammissibilità in appello, che disciplina un giudizio d'inammissibilità per gli appelli che non abbiano «ragionevole probabilità» di essere accolti ( nuovi artt. 348-bis e 348-ter c.p.c. ) , oltre a limitare la possibilità di proporre ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 360, n. 5 c.p.c. ( art. 54 D.L. n. 83 del 2012, c.d. decreto «crescita» ).
Inoltre l'art. 1 comma 17 della ___ ___ n. 228 ha introdotto il comma 1-quater dell'art. 13 del D.P.R. 115/2002, per cui “__ l'impugnazione, anche incidentale, è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l'ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma del comma 1-bis. Il giudice dà atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l'obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso”.
A sua volta, l'art. 2 comma 2-quinquies lett. a) della L. 89/2001 ( cosiddetta legge ___ ), comma aggiunto dall'art. 55 comma 1 lett. a), numero 2 del D.L. 22/6/2012 n. 83, convertito con modificazioni dalla L. 7/8/2012 n. 134 e, successivamente, sostituito dall'art. 1 comma 777 lett. c) della L. 28/12/2015 n. 208, stabilisce che non è riconosciuto alcun indennizzo per la irragionevole durata del processo in favore della parte che ha agito o resistito in giudizio consapevole della infondatezza originaria o sopravvenuta delle proprie domande o difese, anche fuori dai casi di cui di cui all'art. 96 c.p.c., mentre l'art. 136 comma 2 D.P.R. 115/2002 prevede che il magistrato con apposito decreto revochi l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato provvisoriamente disposta dal Consiglio dell'Ordine degli avvocati, se risulta l'insussistenza dei presupposti per l'ammissione ovvero se l'interessato ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave.
Va considerato anche il disposto dell'art. 1284 comma 4 c.c., che ha esteso l'applicazione della disciplina speciale prevista per gli interessi nei ritardi di pagamento relativi alle transazioni commerciali (D.Lgs. 9/10/2002, n. 231) ad ogni obbligazione pecuniaria (avente ad oggetto il pagamento di una somma di denaro).
Ciò, a partire dal momento in cui sia stata proposta la relativa domanda giudiziale e a condizione che le parti non ne abbiano preventivamente stabilito la misura.
Scopo del legislatore, con l'introduzione della disposizione in parola, è stato quello di evitare una strumentalizzazione del processo civile, i cui tempi lunghi potrebbero indurre il debitore ad utilizzarlo come una forma di “finanziamento al ribasso”. Si è quindi previsto che, in pendenza della lite, il saggio degli interessi legali subisca un significativo incremento, al duplice fine di tutelare la posizione del creditore rispetto al pregiudizio che egli subisce a causa dell'inadempimento e, nel contempo, scoraggiare eventuali intenti dilatori e defatigatori dei soggetti debitori, penalizzandone la condotta di resistenza infondata - e talvolta pretestuosa - con l'applicazione di un tasso legale d'interesse ben più alto di quello ordinario. Infatti, dopo la proposizione della domanda giudiziale (e sempre che le parti non abbiano preso espliciti accordi in proposito), il debitore si troverà esposto alla condanna al pagamento degli interessi (moratori) previsti per le transazioni commerciali dal menzionato D.Lgs. n. 231/2002. Saggio, quest'ultimo, determinato maggiorando di otto punti percentuali il tasso di riferimento di cui il Ministero dell'___ dà notizia semestralmente.
Fra l'altro l'art. 4 comma 9 del D.M. del decreto del ministero della giustizia 10/3/2014, n. 55 concernente i parametri per la liquidazione dei compensi per la professione forense, come modificato dall'art. 2 lett. h del D.M. 13/8/2022, n. 147, stabilisce che nel caso di dichiarata responsabilità processuale ai sensi dell'art. 96 c.p.c. il compenso dovuto all'avvocato del soccombente è ridotto del 75 per cento rispetto a quello altrimenti spettante, e per effetto della cosiddetta riforma Cartabia del processo civile è stato aggiunto anche un comma 4 all'art. 96 c.p.c., come già specificato. In ultimo, nei casi in cui la mediazione costituisce condizione di procedibilità della domanda giudiziale, con il provvedimento che definisce il giudizio il giudice se richiesto, può altresì condannare la parte soccombente che non ha partecipato alla mediazione al pagamento in favore della controparte vittoriosa di una somma equitativamente determinata in misura non superiore nel massimo alle spese del giudizio maturate dopo la conclusione del procedimento di mediazione (art. 12-bis comma 3 D.Lgs. 28/2010).
Si tratta di una sanzione pecuniaria liquidata a favore della parte vittoriosa in giudizio, forgiata sul modello di cui all'art. 96, comma 3, c.p.c. e intesa a punire condotte ostruzionistiche e non collaborative della parte chiamata in mediazione, che risulti poi soccombente all'esito della lite.
Tutte le norme sopra menzionate individuano una unica tendenza legislativa e regolamentare, ormai dominante, nel senso di limitare le azioni e le impugnazioni pretestuose e con finalità dilatorie, cosicchè non può affermarsi che la regola di cui all'art. 96 comma 3 c.p.c. abbia natura eccezionale.
Tale linea si è affermata anche nella giurisprudenza di legittimità, laddove in relazione all'art. 96 comma 1 c.p.c. Cass. civ. sez. III, 23/8/2011, n. 17485, in conformità al precedente già espresso da Cass. civ. sez. III, 5/5/2003, n. 6796 ma in contrasto con Cass. civ. sez. I, 4/11/2005, n. 21393, è giunta alla conclusione che all'accoglimento della domanda di risarcimento dei danni da lite temeraria in base a quest'ultima norma non osta la omessa deduzione e dimostrazione dello specifico danno subìto dalla parte vittoriosa, che non è costituito dalla lesione della propria posizione materiale, ma dagli oneri di ogni genere che questa abbia dovuto affrontare per essere stata costretta a contrastare la ingiustificata iniziativa dell'avversario e dai disagi affrontati per effetto di tale iniziativa, danno la cui esistenza può essere desunta dalla comune esperienza.
In realtà le ragioni dell'introduzione dell'art. 96 comma 3 c.p.c. debbono ravvisarsi proprio nell'opportunità di rendere possibile l'applicazione della sanzione per lite temeraria, emancipando la parte vittoriosa ed il ___ rispettivamente, dall'onere di provare e di istruire il processo anche relativamente all'an ed al quantum del danno subìto dalla parte vittoriosa in giudizio per causa della temerarietà della lite.
La condanna ex art. 96 comma 3 c.p.c. infatti, per quanto già evidenziato, si avvicina all'istituto tipico dei sistemi giuridici di common law, in particolare inglese e statunitense, dei punitive (o exemplary) damages (danni punitivi o esemplari, per i quali, in caso di responsabilità extracontrattuale, al danneggiato viene liquidata una somma maggiore rispetto a quella necessaria per ristorare il danno subìto, ove si accerti che il danneggiante abbia agito con dolo o colpa grave), istituto ormai compatibile con l'ordinamento italiano laddove alla responsabilità civile non è assegnato solo il compito di restaurare la sfera patrimoniale del soggetto che ha subìto la lesione, poiché sono interne al sistema anche la funzione di deterrenza e quella sanzionatoria del responsabile civile (v. sul punto Cass. civ. sez. un., 5/7/2017, n. 16601).
Vero è che è stata affermata pure la natura ibrida della suddetta condanna ex art. 96 comma 3 c.p.c. - insieme, riparatoria e indennitaria - tenuto conto delle finalità della misura. La norma, facendo riferimento alla condanna al pagamento di una somma, segna una netta differenza terminologica rispetto al "risarcimento dei danni", oggetto della condanna di cui ai primi due commi dell'art. 96 c.p.c. Ancorché inserita all'interno del predetto art. 96, la condanna di cui all'aggiunto suo comma 3 è testualmente (e sistematicamente), inoltre, collegata al contenuto della "pronuncia sulle spese di cui all'art. 91", e la sua adottabilità "anche d'ufficio" la sottrae all'impulso di parte e ne conferma, ulteriormente, la finalizzazione alla tutela di un interesse che trascende (o non è, comunque, esclusivamente) quello della parte stessa, e si colora di connotati innegabilmente pubblicistici. ___ così modulato è suscettibile di rispondere, peraltro, anche ad una concorrente finalità indennitaria nei confronti della parte vittoriosa (pregiudicata anch'essa da una temeraria, o comunque ingiustificata, chiamata in giudizio) nelle, non infrequenti, ipotesi in cui sia per essa difficile provare l'an o il quantum del danno subìto, suscettibile di formare oggetto del risarcimento di cui ai primi due commi dell'art. 96 c.p.c.
Il fatto che la sanzione pecuniaria sia riconosciuta a favore della parte vittoriosa e non all'___ è anche esso connaturato alla natura eterogenea della misura : per un verso, si tratta di un indennizzo che deve essere riconosciuto alla parte vittoriosa che ha subìto una conseguenza pregiudizievole dall'abuso del processo, peraltro, vi è la consapevolezza che la parte vittoriosa, più interessata dell'___ metterà in atto tutti gli strumenti atti a riscuotere interamente, velocemente e coercitivamente, la somma pecuniaria oggetto di condanna (in tal senso cfr. Cass. civ. sez. II, 21/11/2017, n. 27623).
La pronuncia ex art. 96 comma 3 c.p.c. presuppone sotto il profilo oggettivo solo la soccombenza, che deve essere totale ed unitaria, mentre sotto quello soggettivo non è necessario il requisito della malafede o della colpa grave, colpa grave che comunque nel caso di specie sussiste. Invero il comma 3 dell'art. 96 c.p.c. non prevede la qualificazione della condotta in termini di dolo o colpa grave, a differenza del comma 1.
Ora, a voler ritenere il nuovo testo sganciato dal precedente, esso risulterebbe totalmente mancante del riferimento all'elemento soggettivo, ed infatti la giurisprudenza di legittimità si è orientata nel senso che la condanna della parte soccombente al pagamento di una somma equitativamente determinata, ai sensi dell'art. 96 comma 3 c.p.c., che configura una sanzione anche di carattere pubblicistico, non presuppone necessariamente l'accertamento dell'elemento soggettivo del dolo o della colpa grave, essendo sufficiente una condotta oggettivamente valutabile alla stregua di abuso del processo, quale l'aver agito o resistito pretestuosamente e cioè nell'evidenza di non poter vantare alcuna plausibile ragione (v. Cass. civ. sez. III, 11/10/2018, n. 25176) iniziale della norma di cui al comma 3, che esordisce con un “in ogni caso”, va invece inteso nel senso di escludere la necessità della sussistenza di un danno risarcibile nonché dell'istanza di parte, e ciò al fine di differenziare la fattispecie da quella disciplinata dal comma 1, tradizionalmente configurata come una species del genus della responsabilità extracontrattuale di cui all'art. 2043 c.c. Beninteso, l'art. 96 c.p.c., che disciplina tutti i casi di responsabilità risarcitoria per atti o comportamenti processuali, si pone in rapporto di specialità rispetto all'art. 2043 c.c., di modo che la responsabilità processuale aggravata, pur rientrando concettualmente nel genere della responsabilità per fatti illeciti, ricade interamente, in tutte le sue ipotesi, sotto la disciplina del citato art. 96, senza che sia configurabile un concorso, anche alternativo, tra i due tipi di responsabilità (cfr. Cass. civ. sez. III, 3/3/2010, n. 5069).
Poiché le ipotesi di lite temeraria non sono tipizzate dal legislatore, esse vanno ricostruite necessariamente in via interpretativa, anche alla luce della copiosa giurisprudenza di merito e di legittimità esistente sul punto.
Nel caso concretamente in esame per l'appunto ricorre una ipotesi di temerarietà, posto che difetta un minimo di diligenza per la proposizione rituale della domanda riconvenzionale, che è stata avanzata in ritardo rispetto al termine di decadenza dell'art. 166 c.p.c., e che parte convenuta non ha articolato alcun mezzo istruttorio per dimostrare che parte attrice le aveva imposto la stipula del contratto di locazione in forma verbale. ___, ove risulti essere stata intrapresa in base non solo ad allegazioni difensive manifestamente generiche e vaghe, ma anche a prove gravemente carenti su punti decisivi della domanda fa sì che possono ritenersi esistenti gli estremi della responsabilità per lite temeraria (v. sul punto ___ sez. II, 4/1/2012).
Viene in rilievo nel caso concretamente in esame una lite instaurata nonostante la palese e consapevole inesistenza del diritto sostanziale alla riconduzione del contratto invocato ovvero una lite condotta con la violazione dolosa o gravemente colpevole delle forme e dei termini di rito (quindi, una lita scorretta).
La nozione di infondatezza va intesa in senso non limitato alla insussistenza delle condizioni di merito per l'accoglimento della domanda ma esteso alla mancanza dei requisiti formali e processuali necessari per procedere all'esame del merito (quali, ad esempio, la proposizione della riconvenzionale in ritardo rispetto al termine di cui all'art. 166 c.p.c.) e, analogicamente, la temerarietà è ravvisabile con riguardo non solo alla coscienza dell'infondatezza sostanziale della pretesa ma anche al modo di conduzione della lite ove sia affetta da imprudenza o negligenza grave con riferimento al controllo della sussistenza di requisiti formali e processuali (cfr. sulla questione Cass. civ. sez. lav., 16/4/1988, n. 3012).
Non si tratta dunque di punire la mera soccombenza, oppure anche soltanto la soccombenza che consegua ad una condotta processuale reputata «biasimevole» o «rimproverabile» alla stregua di una valutazione del giudicante non ancorata a parametri concretamente verificabili.
Neppure può seriamente affermarsi che la soccombenza conseguente ad una lite temeraria escluda la responsabilità della parte, comportando solo quella del difensore, giacché questi è il mandatario della stessa parte la quale risponde per il fatto doloso o colposo del difensore nei confronti dei terzi (cfr. sulla questione Cass. civ. sez. lav., 16/4/1988, n. 3012).
Ai fini della liquidazione in concreto della somma dovuta per la lite temeraria, è intervenuta la Corte costituzionale affermando che la somma al cui pagamento il giudice può condannare la parte soccombente in favore della parte vittoriosa per lite temeraria ha sufficiente base legale (v. Corte costituzionale 6/6/2019, n. 139).
La determinazione equitativa della somma dovuta dal soccombente alla controparte in caso di lite temeraria non può però essere parametrata all'indennizzo di cui alla L. n. 89 del 2001 (cosiddetta legge ___ ), il quale, avendo natura risarcitoria ed essendo commisurato al solo ritardo della giustizia, non consente di valutare il comportamento processuale del soccombente alla luce del principio di lealtà e probità ex art. 88 c.p.c., laddove la funzione prevalente della condanna ex art. 96 comma 3 c.p.c. è punitiva e sanzionatoria (v. Cass. civ. sez. III, 4/7/2019, n. 17902).
In mancanza di parametri normativi obiettivamente verificabili in ordine alla determinazione dell'entità della sanzione, atteso che il rimedio di cui all'art. 96 comma 3 c.p.c. rimanda genericamente alla equità e prescinde anche dalla effettività del danno, e che quindi la entità del pregiudizio subìto dalla controparte non viene in rilievo se non ai fini della eventuale applicazione della distinta fattispecie risarcitoria di cui al comma 1 (anche se con riguardo a quest'ultima fattispecie è intervenuta la giurisprudenza di legittimità con la sentenza Cass. civ. sez. III, 23/8/2011, n. 17485 già menzionata, secondo la quale non è necessario allegare e dimostrare lo specifico danno subìto dalla parte vittoriosa ), mentre è evidente la natura afflittiva della nuova misura (cfr. sul punto ___ Foggia ___ ), e che la sanzione si aggiunge alla pronuncia sulle spese, la quale ne costituisce il presupposto oggettivo, il principale parametro per orientare la discrezionalità del ___ nella determinazione del quantum debeatur, al fine di evitare che l'equità si trasformi in arbitrio, non può che essere l'importo liquidato ai sensi dell'art. 91 comma 1 c.p.c. in favore della parte vittoriosa per le spese di giudizio, sul quale innestare una valutazione basata sulla evidenza della pretestuosità, vale a dire sul presupposto oggettivo necessario per l'applicazione della sanzione, nonché sulla durata del processo e soprattutto sul valore della controversia, tenuto conto sempre di tutti gli interessi, pubblici e privati, parimenti tutelati dalla norma, trattandosi di interessi che rilevano anche nella fase liquidatoria, e quindi della funzione della norma, che deve essere garantita nella sua effettività. In altri termini, come per qualunque pena occorre individuare i limiti edittali minimo e massimo tra cui cercare il punto di equilibrio e detti limiti vanno ricostruiti necessariamente in base ad una interpretazione sistematica, atteso che il legislatore non è (ancora) intervenuto specificamente sul punto, ma non in via arbitraria, bensì sulla base della normativa attualmente in vigore. Il limite edittale minimo va identificato con la somma già liquidata in concreto ex art. 91 comma 1 c.p.c., per quanto sopra specificato e in considerazione del carattere afflittivo della misura, la quale per assolvere alla sua funzione deve essere perlomeno pari alla condanna alle spese, e dunque la condanna ex art. 96 comma 3 c.p.c. non potrebbe consistere in una frazione di tale somma. Una volta determinata la base di partenza, ai fini della individuazione della somma finale, posto che l'art. 96 comma 3 c.p.c. non prevede un tetto massimo, occorre fare riferimento sempre alla funzione sanzionatoria della fattispecie da essa disciplinata e della linea di tendenza del legislatore già descritta.
Nella fattispecie concretamente in esame la sanzione viene per l'appunto liquidata equitativamente ex art. 96 comma 3 c.p.c. in misura esattamente corrispondente rispetto all'importo liquidato a titolo di compenso per spese di soccombenza (sulla correttezza di tale impostazione v. Cass. civ. sez. VI, ordinanza 30/11/2012, n. 21570; v. anche Cass. civ. sez. III, 4/7/2019, n. 17902 già menzionata; Cass. civ. sez. III, 20/11/2020, n. 26435).
La liquidazione in questi termini si rende necessaria affinchè la misura abbia un effetto deterrente e persuasivo rispetto ad un contenzioso instaurato temerariamente ed un contenuto afflittivo non meramente simbolico, assolvendo così alla sua funzione di danno punitivo, vale a dire di sanzione che non si limita a ristorare la parte vittoriosa dal pregiudizio subìto per essere stata coinvolta in un processo ingiusto, perché per tale ultimo scopo sarebbe sufficiente la previsione di cui all'art. 96 comma 1 c.p.c. In proposito, data la ratio della norma, non potrebbe in alcun modo affermarsi che viene realizzato un indebito arricchimento della parte vittoriosa, perché la giusta causa sussiste, ed è costituita proprio dalla fattispecie disciplinata dall'art. 96 comma 3 c.p.c., la quale prescinde dalla prova del danno causalmente derivato alla condotta processuale dell'avversario (v. sul punto Cass. civ. sez. I, 30/7/2010, n. 17902 già menzionata).
Ciò vale in considerazione della funzione del nuovo istituto quale presidio a tutela di interessi (anche) pubblici e quindi sia dell'incidenza della pendenza sulla capacità di risposta della amministrazione della giustizia nel suo complesso, sia dell'interesse della controparte ad evitare di essere coinvolta in un processo senza validi motivi, laddove invece, per esempio, il potere di ridurre equitativamente la penale ex art. 1384 c.c. ha riguardo solo all'interesse del creditore all'adempimento.
La temerarietà della lite nel caso di specie sussiste perchè i convenuti hanno agito in riconvenzionale e resistito in giudizio con colpa grave, per cui va revocata, con decreto reso ex art. 136 comma 2 D.P.R. 115/2002 e pronunciato nel contesto della presente sentenza, l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato disposta provvisoriamente in favore di ___ e di ___ dal Consiglio dell'Ordine degli avvocati di Napoli in data ___ rispettivamente tramite deliberazione prot. 3324/2019 e 3325/2019, con effetto retroattivo ai sensi del comma 3 della medesima norma.

P.Q.M.
 
definitivamente pronunciando, così provvede:

a) accoglie la domanda attorea di restituzione e per l'effetto condanna ___ e ___ al rilascio immediato in favore di ___ ___ ___ ___ ___ ___ e ___ dell'immobile sito in Napoli alla via ___ n. __, piano quarto, identificato nel N.C.E.U. del Comune di Napoli alla ___ SEC, Foglio , part.  sub. - Z.C. 4, ctg. ___  3, cl. 2, Cons. 3,5 vani, RC € 262,10 ;
b) accoglie la domanda risarcitoria attorea e per l'effetto condanna ___ e ___ in solido tra loro, al pagamento in favore di ___ ___ ___ e ___ della somma di euro 29.480,00;
c) dichiara la inammissibilità della domanda riconvenzionale proposta da ___ e ___ ;
d) visto l'art. 91 comma 1 c.p.c. condanna ___ e ___ in solido tra loro, al rimborso in favore di ___ ___ e ___ delle spese di giudizio, che si liquidano in complessivi euro 8.216,00, di cui euro 7.616,00 per compensi ed euro 600,00 per esborsi, oltre IVA e CPA se documentate con fattura e il rimborso forfettario nella misura del 15% sui compensi;
e) visto l'art. 96 comma 3 c.p.c. condanna ___ e ___ in solido tra loro, al pagamento in favore di ___ ___ ___ ___ ___ ___ e ___ della somma di euro 7.616,00;
f) visto l'art. 136 comma 2 D.P.R. 115/2002 revoca l'ammissione provvisoria al patrocinio a spese dello Stato disposta in favore in favore di ___ e di ___ dal Consiglio dell'Ordine degli avvocati di napoli in data ___ rispettivamente tramite deliberazione prot. _/2019 e _/2019.

Napoli, 15/5/2023 Il G.U.

Giudice Estensore Dott. Papa Marco
 

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Chi è l'autore
Avv. Sara Salmazo Mediatore Avv. Sara Salmazo
Il diritto fa parte della mia vita fin da quando ho ricordi.
Sono cresciuta in una famiglia di avvocati che mi ha sempre trasmesso la passione e l’interesse per il mestiere che esercito nel Foro di Padova dal 2012.
Dopo la laurea ho svolto un’esperienza all’estero, in un grosso studio legale australiano, dove mi sono appassionata alle materie della Proprietà Intellettuale e del Diritto Industriale che ho trattato negli anni a venire, ricoprendo il ruolo di responsabile dell’ufficio legale di...
continua





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