Non viola il principio di riservatezza ex art.9 e 10 d.lgs. 28/2010 la consulenza tecnica elaborata nel corso della mediazione e prodotta successivamente in giudizio.

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Dott.ssa Beatrice Benenati

Tribunale di Roma, Ordinanza del 17.3.2014.

A cura del Mediatore Dott.ssa Beatrice Benenati da Sassari.
Letto 3735 dal 20/03/2014

Commento:

Il Tribunale di Roma con l’ordinanza in esame ha ritenuto ammissibile la consulenza tecnica svolta durante la mediazione e successivamente prodotta nel giudizio di merito. Nella controversia, derivante da un errore professionale del medico, il paziente danneggiato instaurava il procedimento di mediazione, all’interno del quale veniva redatto l’elaborato peritale. All’esito negativo della mediazione, il danneggiato promuoveva ricorso dinanzi al Tribunale di Roma producendo proprio la perizia redatta nel corso della mediazione. Avverso il deposito, si opponeva una delle controparti deducendo che ciò era avvenuto in violazione degli artt. 9 e 10 d.lgs 28/2010 in quanto non aveva prestato il consenso al deposito in giudizio dell’elaborato peritale. Il giudice, accogliendo la tesi della ricorrente, ha dichiarato ammissibile la documentazione prodotta, statuendo, in un’ottica di contemperamento tra l’esigenza di riservatezza e quella di economia delle attività svolte nel corso del procedimento di mediazione, che secondo le norme in questione le dichiarazioni coperte dalla riservatezza sono solo quelle delle parti e, peraltro, l'attività del consulente in mediazione «si estrinseca, ed esaurisce, nella motivata esposizione dei risultati dei suoi accertamenti tecnico-specialistici». Da ciò ne consegue che essendo l’elaborato peritale una relazione svolta secondo scienza, coscienza e prudenza, secondo le circostanze e le prospettazioni, istanze, e rilievi delle parti, ben può essere utilizzato dal giudice per trarre argomenti e elementi utili a formare il suo convincimento motivazionale, anche ai fini della proposta ai sensi dell'articolo 185-bis c.p.c.

Testo integrale:

TRIBUNALE di ROMA
SEZIONE  XIII°
O R D I N A N Z A

 
dott. Massimo Moriconi,
letti gli atti e le istanze delle parti, osserva:
Non si ritiene sussistente la lamentata nullità della citazione per indeterminatezza della causa petendie dell’oggetto della domanda.
Interpretando  complessivamente,  come  doveroso,  gli  atti  dell’attrice  e  non  solo  la citazione, si può affermare che la stessa addebita in modo intellegibile al nosocomio e al medico operante convenuti che :
doveva  essere  operata  per  endometriosi  del  setto  retto  vaginale  consistente  in asportazione di cisti nella cavità uterina; e che tale  intervento  veniva  eseguito  malamente  e  nel  corso  dello  stesso  subiva  la  non richiesta e non informata asportazione dell’utero con quanto di negativo ne conseguiva (sterilità).
Nonché tutti i problemi e ricoveri successivi.
E’  stata  svolto  prima  della  introduzione  del  presente  giudizio  un  procedimento  di mediazione (obbligatoria) alla quale ha partecipato, come unico convocato, l’attuale convenuto nosocomio.
Non sono stati infatti chiamati in mediazione in quella occasione né il medico successivamente citato in giudizio né, ovviamente (trattandosi di chiamata di terzo improvvidamente non disciplinata dalle norme che disciplinano il procedimento di mediazione), la sua assicurazione, attuale terza chiamata in causa.
Nel corso del procedimento di mediazione, sull’accordo delle parti, il mediatore ha nominato un consulente tecnico che ha depositato all’esito degli accertamenti concordemente demandatigli e svolti, una relazione peritale (intitolata parere specialistico ginecologico pro-veritate)
L’elaborato è stato prodotto al n.19 dei documenti di parte attrice.
Tutti le altre parti (convenuti e terza chiamata) hanno contestato la ammissibilità di tale produzione, il medico convenuto e la sua assicurazione anche per non essere stati parti nel procedimento di mediazione e di conseguenza per non aver potuto contraddire e nominare consulenti di parte.
La attenta difesa del nosocomio ha svolto una approfondita contestazione in merito alla produzione della relazione del perito nominato dal mediatore (ipotizzando anche profili di responsabilità deontologica a carico dell’avvocato della parte attrice derivante da tale ritenuta arbitraria produzione).
In particolare la difesa del nosocomio ha evidenziato tre punti di possibile collisione fra la produzione della relazione del consulente nonché la sua eventuale ammissione ed utilizzo in giudizio e la struttura e gli sbarramenti del procedimento di mediazione di cui al decreto legislativo 28/2010.
La produzione violerebbe la disposizione del comma primo dell’art.10 del decr.lgs.28/10 sulla inutilizzabilità nella causa delle dichiarazioni rese e delle informazioni acquisite nel corso del procedimento di mediazione.
La produzione inoltre si scontrerebbe con le prescrizioni dell’ art. 9 (che impone a chiunque operi nell’ambito del procedimento di mediazione l’obbligo di riservatezza) e del comma secondo dell’art.10 del cit.decreto.
Infine a presidiare il principio della riservatezza che ispira tutto il procedimento di mediazione si porrebbe il disposto del secondo comma dell’art.10 del cit.decreto.
Ha altresì dichiarato, così come hanno fatto le altre controparti, l’assoluto diniego alla produzione di atti provenienti dal procedimento di mediazione (ed in particolare dell’elaborato dell’esperto), di cui è stato richiesto lo stralcio.
Va  considerato che la  possibilità della nomina di  un  consulente  tecnico esterno ed estraneo  ai  soggetti  ordinari  che  sono  presenti  nel  procedimento  di  mediazione (mediatore, parti e loro rappresentanti) è, nel relativo sistema normativo, per così dire, residuale.
Ciò si ricava a contrariis dalla disposizione dell’art. 8 del decr.lgs. 28/10 4
Nonché  dalla  successiva  disposizione  che  prevede  la  possibilità  della  nomina  di  un consulente tecnico esterno solo laddove siano assenti o carenti non solo nel mediatore titolare ma anche in quello eventuale, ausiliario, le competenze tecniche specifiche e necessarie per il caso oggetto del procedimento.
Occorre interrogarsi, e la presente causa offre l’occasione per farlo, in mancanza di precedenti giurisprudenziali, su quali siano le possibilità di utilizzo e le utilità derivanti dalla nomina di un consulente tecnico esterno alla procedura di mediazione, sia all’interno della stessa e sia  nel giudizio avente il medesimo oggetto anche parziale, iniziato, riassunto o proseguito dopo l’insuccesso della mediazione.
Il tutto ponendo mente, oltre alle norme supra richiamate, al principio di riservatezza che ispira la procedura di mediazione di cui all’art.3 del decr.lgs.28/10. 
Tale principio trova la sua scaturigine e ragion d’essere nella necessità di favorire quanto più possibile l’instaurazione fra le parti presenti nel procedimento di mediazione, di un clima di libero, leale e sincero confronto e discussione,  nelle sessioni congiunte e in quelle separate con il mediatore, tale che consenta ad ognuna di esse di aprirsi senza remore e timori, esponendo fino in fondo il rispettivo punto di vista, con le relative aspettative e richieste, con ciò che vi è in esse di rinunciabile ed al contrario di indefettibile.
Disponibilità   d’animo   e   di   volontà   sicuramente   propiziate   ed   agevolate   dalla consapevolezza della non utilizzabilità (altrove) senza il suo consenso, delle dichiarazioni che la parte abbia fatto.
Naturalmente se tale cogente e logica prescrizione normativa non fosse stata accompagnata   dall’altra,   contenente   il   divieto   rivolto   a   chiunque   partecipi   al procedimento di  mediazione, di propalare altrove  e precipuamente nella causa  alla quale pertiene la mediazione, quand’anche sotto invito di testimonianza, le dichiarazioni del dichiarante che non lo desideri e lo consenta, la prima cautela avrebbe rischiato di rimanere vana e di debole efficacia.
Non si può e non si deve, però, neppure enfatizzare oltre ogni limite il principio della riservatezza, rischiando di andare oltre quello che il legislatore ha stabilito.
Riservatezza ad ogni costo e sempre non significa infatti agevolare con sicurezza il successo della mediazione ed il raggiungimento dell’accordo.
E’ sufficiente evidenziare, per dimostrarlo, che le parti in mediazione possono essere tentate, per il timore della sua circoscritta utilità, di rifiutarsi (e sicuramente ciò accade di frequente) di acconsentire alla nomina, da parte del mediatore,  di un esperto anche quando l’ausilio di un tecnico specializzato nella materia potrebbe chiarire aspetti fondamentali, perché dubbi, della situazione in conflitto.
Si pensi all’accertamento, a mezzo di una consulenza medica, dei danni alla persona in presenza  di  una  domanda  di  risarcimento  a  seguito  di  un  qualsiasi  evento  (RCA, responsabilità medico-sanitaria e via dicendo).
In  questi  casi  farsi  carico  della  spesa  non  irrisoria  per  il  compenso  da  attribuire all’esperto in mediazione potrebbe apparire inappropriato e non conveniente proprio per la prospettiva di non poter produrre la relazione dell’esperto nella causa ch e potrà seguire al mancato raggiungimento dell’accordo.
Ritiene il giudice, alla luce delle precedenti considerazioni ed in un’ottica di equilibrato contemperamento fra l’esigenza, nei limiti in cui è normata, di riservatezza che ispira il procedimento di mediazione e quella di economicità e utilità delle attività che si compiono nel corso ed all’interno di tale procedimento, di poter dichiarare legittima ed ammissibile la produzione  nella causa alla quale pertiene la mediazione, dell’elaborato del consulente tecnico esterno.
Limitatamente, ove occorra rilevarlo, agli aspetti ed ai contenuti che siano strettamente corrispondenti al compito accertativo che gli sia stato affidato.
Il  consulente,  nel  perimetro  di  ciò  che  le  parti  attraverso  il  mediatore,  gli  hanno demandato di accertare, esegue e svolge il suo incarico redigendo una relazione.
Quale sia esattamente l’attività espletabile dal consulente tecnico nella mediazione è agevolmente predicabile facendo riferimento a quanto lo stesso consulente, in quel caso nominato dal giudice, può effettuare nella causa, nell’adempimento dell’incarico.
Si ritiene, dalla giurisprudenza (e con riferimento all’ambito giudiziario) che vi siano due tipi di consulenza tecnica.
Quella c.d. percipiente, che ha natura di fonte di acquisizione della prova in quanto con essa il consulente acquisisce elementi e dati che precedentemente non facevano parte di specifiche doti e conoscenze tecniche ovvero di mezzi e di apparecchiature particolari non a disposizione del giudice.
La consulenza c.d. deducente, invece, è quella che ha per oggetto la valutazione di fatti, elementi e cose già presenti ed acquisiti al patrimonio istruttorio della causa.
Trasferiti, come è agevole e possibile, tali concetti nel procedimento di mediazione , si può desumere l’assenza di impedimenti giuridici all’utilizzo della relazione peritale al di fuori della mediazione e specificamente nella causa che può seguire (o proseguire), così come l’assenza di qualsiasi reale contrasto con le norme e la disciplina legale di tale istituto.
Invero i divieti previsti dalla legge come supra ricordati hanno per oggetto esclusivamente  le  dichiarazioni  delle  parti  (di  cui  le  informazioni  –  di  cui pleonasticamente parla la legge- sono solo uno dei possibili contenuti).
Viceversa l’attività del consulente in mediazione, all’esito degli accertamenti che compie (che non potranno consistere nel raccogliere e riportare dichiarazioni delle parti o informazioni provenienti dalle stesse,    perché questo non  è un  suo  compito e non rientra fra le attività che deve espletare, come del resto è previsto espressamente nell’ambito della causa dove la possibilità di acquisire informazioni dalle parti da par te del  C.T.U.  è  subordinato  ad  espressa  autorizzazione  del  giudice,  cfr.194  cpc),  si estrinseca (ed esaurisce) nella motivata esposizione dei risultati dei suoi accertamenti tecnico-specialistici.
Nessuna norma del decreto legislativo 28/2010 fa divieto dell’utilizzo nella causa della relazione dell’esperto, fermo restando il generale obbligo di riservatezza anche del consulente, come di tutti gli altri soggetti che intervengono nel procedimento.
Una esplicita conferma di quanto precede si ricava dall’ultima parte dell’art. 10 primo comma  decr.cit.  che  fa  salvo  il  consenso  della  parte  dichiarante  o  dalla  quale provengono le informazioni.
Così   confermandosi   che   il   consenso   per   l’utilizzazione   in   ambito   diverso   dal procedimento  di  mediazione  all’interno  del  quale  (le  dichiarazioni)  sono  emerse  è necessario solo per ledichiarazioni delle parti.
Un ultima considerazione riguarda un presunto divieto derivante dal generale principio di riservatezza che ispira il procedimento di mediazione.
Si tratta, a ben vedere, di un’affermazione che prova troppo.
L’art.3   del   decr.lsg.28/10,   non   predica   affatto   una   generale   riservatezza   del procedimento.
Piuttosto prevede espressamente che il regolamento  (dell’organismo, n.d.r.)  deve in ogni caso garantire la riservatezza del procedimento ai sensi dell’articolo 9.
Norma,   l’art.9,  che  immancabilmente  riferisce  e  limita  testualmente  l’obbligo  di riservatezza alle dichiarazioni rese e alle informazioni acquisite durante il procedimento medesimo.
Può pertanto stabilirsi un primo punto fermo: quella della selettività del divieto che riguarda esclusivamente le dichiarazioni e le informazioni che una parte abbia fornito (a chicchessia dei soggetti presenti nel procedimento di mediazione e quindi, per ipotesi, anche al consulente).
E non gli accertamenti del consulente. Tale differenza non è casuale.
Una  dichiarazione  (e/o  informazione  fornita  a  cura)  della  parte,  se  considerata spendibile nel processo, potrebbe avere effetti devastanti per la medesima come ad esempio nel caso che abbia contenuto confessorio e ammissivo di circostanze a se sfavorevoli.
E’ appena il caso di ricordare la possibile formidabile rilevanza nella causa delle dichiarazioni di una parte anche se rese in sede diversa da quella
Affatto diversa è l’efficacia dell’accertamento dell’esperto nel corso della mediazione.
Si  tratta  di  un  diverso  aspetto  del  problema  fin  qui  affrontato  e  che  attiene  alla utilizzazione in giudizio della relazione dell’esperto.
I cui risultati, occorre precisare, sono liberamente e validamente contestabili dalle parti, in ogni contesto (mediazione e processo).
Invero, se come ritenuto, le   risultanze della perizia in mediazione sono, in linea di principio, in sede giudiziale ammissibili ed utilizzabili, è ben diverso il valore e l’efficacia delle stesse rispetto a quelle della consulenza tecnica di ufficio.
E ciò in quanto la prima non facente parte degli strumenti apprestati dal codice di rito per   l’acquisizione,   formazione   e   valutazione   della   prova,   perché   non   disposta, controllata e diretta dal giudice, e perché l’esperto in mediazione non è un ausiliario del giudice (per tutti gli effetti connessi e) con la conseguenza che anche le sue possibilità accertative potrebbero in concreto incontrare dei limiti e ostacoli nei rapporti esterni.
Ma il nostro ordinamento conosce ed autorizza le prove atipiche, purché siano rispettati alcuni fondamentali principi dell’ordinamento stesso (e fra questi principalmente quello del contraddittorio).
Ne consegue che il giudice potrà utilizzare tale relazione secondo scienza e coscienza, con prudenza, secondo le circostanze e le prospettazioni, istanze, e rilievi delle parti . Meno frequentemente per fondarvi la sentenza, più spesso per trarne argomenti ed elementi utili di formazione del suo giudizio.
Ovvero, aspetto niente affatto secondario, per costituire il fondamento conoscitivo  ed il supporto motivazionale (più o meno espresso) della proposta del giudice ai sensi dell’art.185 bis cpc.
Nel caso di specie il giudice, pur ammettendo la produzione della relazione dell’esperto (stralciata da  ogni divagazione rispetto agli accertamenti in senso stretto,) non ritiene di trarne elementi di utilità, neppure fra le parti fra le quali si è validamente svolto l’esperimento di mediazione.
Ed invero il medico specialista (non medico legale) ha con evidenti salti logici e vistose omissioni ricostruttive degli eventi e dei fatti, tratto un sommario quanto apodittico giudizio di responsabilità medica.
Inoltre, invece di rispondere solo come dovuto ed in modo diretto, ai tre appropriati quesiti formulati dalle parti e dal mediatore a verbale del 21.2.2012, l’esperto incaricato si perdeva con irrilevanti e inammissibili divagazioni.
Va pertanto disposta consulenza tecnica di ufficio.
Si assegnano al CTU nominato i seguenti quesiti:
esaminati gli atti di causa e la documentazione sanitaria allegata, visitata la perizianda, ed esperita ogni altra eventuale indagine clinico-strumentale specialistica, reputata indispensabile, anche avvalendosi di ausiliari, accerti il CTU in relazione alla attività professionale prestata alla parte attrice, considerata la storia pregressa dell’attrice e la patologia di endometriosi del setto retto-vaginale in ordine alla quale la stessa veniva operata dal prof.XX
1 ) Diagnosi
i)       se la formulazione della diagnosi sia stata corretta
ii)      in caso di errore di diagnosi specifichi se sia dovuto a  incompletezza delle indagini cliniche e strumentali oggettiva difficoltà di interpretazione dei dati clinici e strumentali
--  altro
2 . Scelta del trattamento (descrizione)
i)       se  il  trattamento prescelto poteva ritenersi astrattamente adeguato rispetto al caso specifico, avuto riguardo alla diagnosi correttamente formulata ed agli interventi comunemente praticati secondo la migliore scienza ed esperienza medico -chirurgica del tempo per il caso in esame;
ii)      in relazione al precedente quesito dica:
-- se il trattamento prescelto richiedesse una specifica competenza professionale e se questa fosse in possesso del convenuto (esperienza maturata nella esecuzione del trattamento prescelto)
3 . Esecuzione del trattamento
i)      accerti se il trattamento sia stato eseguito in conformità alle metodiche medico- chirurgiche stabilite dalla prassi e dalla scienza applicata ad interventi di questo genere; ii) con particolare riguardo all’avvenuta isterectomia;
iii)    in caso di risposta negativa:
specifichi   le   cause   della   difettosa   esecuzione   (in   relazione   alla:   tempestività, regolarità, completezza, compatibilità  dei mezzi impiegati, ecc.) – rilevi e descriva eventuali difficoltà (originarie o sopravvenute) nella esecuzione del trattamento indicando se e quali rimedi sono stati adottati (ovvero fossero in concreto adottabili) per il superamento delle stesse;
4. Danno
i)  accerti se siano reliquati postumi diversi da quelli normalmente ricollegabili al trattamento correttamente praticato
ii)      in  caso affermativo accerti il rapporto causale tra l’operato  del medico ed i postumi
iii)    descriva gli eventuali precedenti morbosi del soggetto e la relazione di concorso- consistenza
iv)     dica  se  ed  in  che  misura  percentuale  i  postumi  abbia no  ridotto in modo
permanente la complessiva integrità psicofisica del soggetto (idoneità a svolgere le attività esistenziali comuni alla generalità delle persone), precisando il criterio adottato per la determinazione del valore percentuale
v)      descriva   separatamente, omettend ogni valutazione percentuale, l’eventuale danno alla integrità fisiognomica, allegando fotografie
vi)     dica se i postumi individuati possano incidere in concreto su particolari attività lavorative che il periziando alleghi di svolgere, le quali per frequenza e caratteris tiche intrin seche esulino dalle normali attività esistenziali
vii)    dica se ed in che percentuale il periziando possa attenuare od eliminare i postumi con protesi o terapie ad hoc, precisando costo, durata, difficoltà e possibilità di successo di tali interventi
viii)  valuti se le spese di cura sostenute dal periziando in conseguenza del danno patito
e se siano state necessarie, utili o superflue
Dà atto che il CTU inizierà le operazioni peritali alle ore             del giorno                  presso il
proprio studio. Acquisisce il giuramento del CTU.
Termine ultimo per la nomina di CTP anche a verbale del CTU.
La relazione peritale sarà trasmessa dal consulente a mezzo fax ovvero e-mail alle parti
entro il
Le parti fino al                   potranno trasmettere le loro osservazioni al consulente con i stessi mezzi.
Il CTU depositerà la propria relazione in cancelleria con le osservazioni delle parti e una sintetica
valutazione delle stesse, entro il
Concede al CTU un’acconto di €.800,00 più accessori da porsi provvisoriamente a carico dell’attrice.
Autorizza le parti al ritiro dei fascicoli per la consegna al nominato CTU.
a scioglimento della riserva,

P.Q.M.

AMMETTE   le   prove   documentali   delle   parti   come   in   motivazione   specificato;
riservando al prosieguo ogni decisione sulla prova orale;
NOMINA consulente tecnico di ufficio la dott.ssa———- e rinvia per il giuramento
all’udienza del 265.2014 h.10,15.
FARE AVVISI mail o fax anche al consulente tecnico di ufficio nominato.
Roma, lì 17.3.2014
Il Giudice dott.cons.Massimo Moriconi

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Chi è l'autore
Dott.ssa Beatrice Benenati Mediatore Dott.ssa Beatrice Benenati
Sono consulente , libero professionista dal 2005, nel settore del risanamento del debito bancario e tributario in sofferenza di famiglie ed imprese ed eventuale studio del riassetto societario.
Seguo questo ambito con particolare attenzione e dedizione avvalendomi anche della competenza di dott.ri commercialisti e Avvvocati tributaristi per la verifica di anomalie bancarie anatocismo, usura su C/C affidati, mutui, cessioni del quinto e carte revolving e della collaborazione di uno ...
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