Quando deve essere eccepita l'eccezione di improcedibilità del giudizio?

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Avv. Luigi Cuccuru

Tribunale di Treviso, sentenza del 21/01/2019

A cura del Mediatore Avv. Luigi Cuccuru da Sassari.
Letto 3856 dal 29/12/2019

Commento:
L’eccezione di improcedibilità deve, a pena di decadenza, essere eccepita entro e non oltre la prima udienza successiva al tentativo di conciliazione. La tempestività con la quale le parti sono chiamate a sollevare suddetta eccezione è presupposto indispensabile per la declaratoria di improcedibilità del giudizio.
Quindi, nel caso in cui la eccezione in questione sia sollevata soltanto negli scritti conclusionali non si può procedere alla dichiarazione di improcedibilità del giudizio.
 

Testo integrale:

REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
Il Tribunale Tribunale Ordinario di Treviso
SEZIONE TERZA
in composizione monocratica, in persona del dott. Andrea Valerio Cambi, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio iscritto al R.G. n. 418/2016 promosso da
Z.XX G.XXXXXX - parti opponenti
contro: BANCA - V.XXXXXXX S.XXXXXXXX p.a. - parte convenuta opposta
nonché nei confronti di: P.XXXXX A.XXX M.XXXXXXXX S.P.A- parte intervenuta ex art. 111 c.p.c Conclusioni delle parti
(……..)
Svolgimento del processo.
Il presente giudizio trae origine dall' atto di citazione in opposizione al decreto ingiuntivo n. 4881/2015 emesso il 17.11.2015 dall' intestato Tribunale, con cui veniva ingiunto alle parti opponenti, in solido tra di loro giusta la fideiussione prestata dalla sig. ra C.XXX, di pagare all' opposta l' importo di 476.167, 47 quale capitale residuo ed interessi scaduti relativi al mutuo ipotecario stipulato in data 28.04.2014 dal signor Z.XX G.XXXXXX con la convenuta opposta, oltre agli interessi di mora successivi al tasso contrattualmente previsto e parametrato sulla media aritmetica dell' Euribor (Euribor6Mprimo250 più uno spread pari al 3, 50% + 4, 00% di mora) pari al 7, 75%, in trecento rate mensili ed alle spese del monitorio.
Contestavano le parti opponenti l' applicazione da parte dell' istituto di credito di interessi in misura superiore ai tassi soglia usura vigenti, richiamando all' uopo l' art. 1815 c.c., ed assumendo l' usurarietà del contratto; contestavano altresì la clausola c.d. floor inserita nel contratto di mutuo de quo a previsione di un limite percentuale al sotto del quale il tasso dovuto dal cliente non possa scendere, dando luogo, nella ricostruzione di parte, ad un derivato implicito consistente nell'"Opzione F.XXX"con la conseguente annullabilità del rapporto per violazione della normativa finanziaria sulla "trasparenza e informazione in favore dei clienti, suo requisiti oggettivi e soggettivi delle operazioni, sui costi occulti e sul tasso effettivo". Chiedevano pertanto l' accertamento della difformità tra il tasso di interesse determinato con il contratto in questione rispetto al tasso effettivo di ammortamento applicato, insieme alla sospensione in via preliminare del decreto opposto e del giudizio di opposizione al fine di esperire il tentativo di mediazione obbligatoria. Eccepivano altresì la nullità del finanziamento con riguardo alla scelta del criterio di calcolo degli interessi nel divisore su base calendario commerciale a 360 giorni.
Con comparsa di costituzione e risposta si costituiva in giudizio parte opposta, contestando quanto ex adverso sollevato e sottolineando come l' importo azionato in via monitoria corrisponda integralmente all' esposizione derivante dal mutuo ipotecario in oggetto, in relazione al quale il mutuatario si sarebbe fin da subito reso inadempiente.
Rilevava quindi la medesima l' inammissibilità della domanda di controparte volta all' accertamento della difformità tra il tasso di interesse determinato contrattualmente ed il tasso effettivo di ammortamento applicato, in uno con l' infondatezza della domanda di accertamento della nullità delle clausole del mutuo ipotecario con la sua conseguente gratuità. Versava in atti il contratto de quo che, nel suo art. 2, a suo dire smentirebbe la ricostruzione avversaria.
Assegnati i termini ex art. 183, co. 6 c.p.c. e disposto, una volta concessa la provvisoria esecuzione del decreto, l' espletamento della mediazione ex art. 5 D.Lgs. 28/2010, la causa veniva tratta in decisione all' udienza del 18.10.2018 sulle conclusioni sopra trascritte.
Motivi della decisione
Prendendo le mosse dalle questioni processuali, occorre valutare la procedibilità dell' opposizione in relazione all' assolvimento della condizione del previo esperimento della mediazione ex art. 5 D.Lgs. 28/2010. A tale riguardo, pur dovendosi stigmatizzare la diffusa tendenza a sottovalutare le potenzialità dell' A.D.R. introdotta dal citato decreto legislativo riducendolo a mero e sbrigativo passaggio formale e, al contrario, rimarcare la fondamentale importanza della partecipazione personale delle parti, non si ravvisano, tuttavia, i presupposti per la declaratoria di improcedibilità del presente giudizio di opposizione, in quanto la relativa eccezione è stata di fatto sollevata in modo inequivoco soltanto negli scritti conclusionali dell' opposta.
Ed infatti, nella prima udienza successiva all' incombente, quella del 18.11.2016, il procuratore di parte opposta si è limitato ad eccepire "la carenza di procura speciale da parte del procuratore di Z.XX", ma nulla ha dedotto in merito al corretto assolvimento della condizione di procedibilità, limitandosi quindi ad una generica contestazione sulla portata del potere rappresentativo conferito dall' opponente all' avv. C.XXXXXX con la sottoscrizione della "delega" allegata alla domanda di mediazione. Poiché a norma dell' art. 5 co. 1 bis del D.Lgs. 28/2010 l' improcedibilità deve essere eccepita a pena di decadenza non oltre la prima udienza successiva, l' eccezione compiutamente sollevata negli scritti conclusionali non può che ritenersi tardiva. Passando al merito della controversia, si osserva quanto segue.
Il titolo in forza del quale è stata richiesta ed ottenuta l' ingiunzione di pagamento è il mutuo ipotecario n. 2500242337 stipulato in data 28.08.2014 per complessivi euro 452.325, 00. Per quel che attiene alla pretesa nullità della clausola di cui all' art. 2 del suddetto mutuo, essa è stata riferita sia all' assunto che la clausola floor integri uno strumento finanziario derivato e, segnatamente un derivato incorporato in un contratto "ibrido", imposto al mutuatario senza una previa valutazione di adeguatezza né l' adempimento degli obblighi informativi circa caratteristiche, rischi e costi di detto "derivato incorporato"previsti dalla normativa in materia di intermediazione finanziaria e, segnatamente dall' art. 28 del Reg. Consob 11522/1998, sia al carattere vessatorio della clausola e, conseguentemente, la sua nullità ex art. 33 D. Lgs. 206/2005, nonché l' attitudine della stessa a rappresentare per il mutuatario un costo implicito che, oltre a violare l' art. 117 TUB, incide sul TAEG rendendolo difforme a quello esplicitato. Nessuna di tali censure appare tuttavia meritevole di accoglimento.
In primo luogo, va disattesa, in quanto infondata, la suggestiva deduzione per cui l' inserimento nel mutuo di una clausola floor comporterebbe l' integrazione del contratto con uno strumento finanziario derivato e imporrebbe, a pena di nullità, l' osservanza della disciplina contrattuale e precontrattuale prevista dal T.U.F. Ora, anche a voler prescindere dal rilievo che la giurisprudenza di legittimità ha, da più di un decennio, ripudiato la tesi che traeva dalla violazione degli obblighi informativi e delle regole di comportamento imposte agli intermediari l' affermazione della nullità virtuale ex art. 1418, co. 1 c.c. dei contratti inerenti alle operazioni su strumenti finanziarie concluse dal cliente (cfr. Cass. Civ. SS.UU. 19.9.2007, n. 26724) sancendo il principio della non interferenza tra regole di condotta e norme sulla validità degli atti negoziali, è in ogni caso dirimente l' ulteriore rilievo per cui in un mutuo connotato dalla clausola floor non sono ravvisabili gli stessi elementi strutturali che caratterizzano lo strumento finanziario derivato, ovvero il patto per lo scambio, a scadenze prefissate, di flussi di interessi legati a determinati e distinti nozionali di riferimento e l' addebito, all' una o all' altra parte, del relativo conguaglio.
Inoltre, la posizione sostanziale assunta dalle parti contraenti non consente di attribuire all' istituto mutuante la veste di intermediario, come tale tenuto all' osservanza degli obblighi informativi previsti dal TUF e dal reg. CONSOB citato da parte opponente, solo a considerare che, dal punto di vista soggettivo, della posizione è sostanzialmente invertita ed è logicamente incompatibile rispetto all' ordinaria dinamica delle attività di collocazione ed intermediazione di strumenti finanziari.
Appare infatti evidente il paradosso in cui incorre parte opponente nell' evocare la disciplina a tutela dell' investitore, laddove la sua stessa allegazione si fonda sul presupposto logico di una ricostruzione in cui l' intermediario in realtà non venderebbe uno strumento finanziario, ma, al contrario, ne pretenderebbe l' acquisto dal cliente, al precipuo fine di neutralizzare la possibilità di una non adeguata rimuneratività del finanziamento nell' ipotesi di una consistenze contrazione dell' indice di riferimento per la determinazione del tasso d' interesse passivo.
Né la questione va confusa con il riferimento (che spesso accompagna le relazioni di bilancio degli istituti di credito) al costo dei derivati stipulati a copertura del rischio oscillazione tassi, posto che tale riferimento parrebbe riguardare l' acquisto di strumenti derivati da altri intermediari, per la suesposta finalità di copertura, non certo singole clausole di ciascun contratto di mutuo.
Quanto poi all' assunto secondo il quale la clausola determinerebbe un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto, sì da risultare nulla ex art. 36 D. Lgs. 206/2005, si rileva innanzitutto come parte opponente nemmeno abbia allegato, come era suo onere, la ricorrenza in concreto dei presupposti per invocare la normativa consumeristica, ovvero che il mutuo per cui è causa costituisse un atto estraneo all' attività imprenditoriale del sig. Z.XX.
In ogni caso, la veste di consumatore in capo all' opponente può senza dubbio escludersi già sulla scorta delle dichiarazioni fiscali rese dal mutuatario all' art. 5 del mutuo 28.8.2014 per cui "... il presente finanziamento non è destinato all' acquisto/costruzione/ristrutturazione di immobile a uso abitativo e relative pertinenze". Ma anche a voler generosamente riconoscere al mutuatario della qualità, non sussisterebbero, in ogni caso, i presupposti per dichiarare l' inefficacia ex art. 36 Codice del Consumo della clausola in contestazione.
Viene in rilievo, infatti, il disposto dell' art. 34, co. 2 del Codice del Consumo, per cui "la valutazione del carattere vessatorio della clausola non attiene alla determinazione dell' oggetto del contratto, né all' adeguatezza del corrispettivo di beni e servizi, purché tali elementi siano individuati in modo chiaro e comprensibile". La clausola floor, in tutta evidenza, rappresenta una pattuizione idonea ad incidere sulla determinazione dell' oggetto del contratto, in quanto la consistenza quantitativa dell' obbligazione del mutuatario di restituzione del capitale e, per l appunto, di pagamento degli interessi corrispettivi dipende (anche) dall' eventuale operatività di della clausola.
Ciò premesso, va evidenziato come il tenore letterale della clausola, nei termini in cui è stata inserita nel corpo del contratto di mutuo, sia inequivoco e non lasci adito a dubbi, neppure al mutuatario più inesperto, né su quale sia il tasso d' interesse convenuto, né sulle possibili conseguenze, in caso di oscillazione del parametro cui è ancorata la determinazione del tasso variabile, che quella pattuizione avrà nel corso della vita del rapporto.
Non vi è alcuna necessità che la clausola spieghi quale sia e a quanto possa ammontare il vantaggio economico per il mutuante, poiché tale circostanza non ha nulla a che vedere con la chiarezza e la comprensibilità della clausola.
Poiché la clausola per come pattuita è chiarissima nel rendere edotto il contraente che, a prescindere dall' andamento al ribasso degli indici di riferimento, il suo tasso di interesse non potrà mai scendere al di sotto di una certa soglia, a nessun vaglio di vessatorietà può quindi essere sottoposta quella clausola contrattuale.
In definitiva, la clausola in questione deve ritenersi senz' altro non vessatoria, in quanto pienamente rispettosa dei principi di chiarezza, determinabilità e comprensibilità cui si informa l' art. 34 Codice del Consumo, né invalida in quanto determinante un "costo implicito"o un "derivato incorporato", essendo la stessa meramente delimitativa dell' oggetto del contratto, nella parte in cui circoscrive il range di oscillazione di un parametro di riferimento per la determinazione dell' obbligazione accessoria di pagamento degli interessi.
In ogni caso, il successivo comma 4 del citato art. 34 D. Lgs. 206/2005, esclude la vessatorietà per le clausole o gli elementi di clausola che siano stati oggetto di trattativa individuale, trattativa individuale che non può non ritenersi sottesa alla stipula di finanziamenti con garanzia ipotecari per importi così consistenti, che certo non vengono concessi sulla scorta della mera sottoscrizione di moduli o formulari.
Quanto invece alla pretesa discrepanza tra TAEG dichiarato e TAEG effettivo, non è riscontrabile alcuna violazione dell' art. 117 co. 4 TUB, in quanto i tassi d' interesse, gli oneri e tutte le spese inerenti a ciascun mutuo risultano puntualmente indicati nel documento di sintesi allegato al rogito notarile (all. B a racc. 18848). Parimenti infondata è la contestazione della nullità ex art. 117, co. 4 TUB sotto il profilo della erronea determinazione del TAEG, in quanto non comprensivo di tutti gli oneri connessi all' erogazione del credito, nonché dell' omessa quantificazione dell' Indicatore Sintetico di Costo.
Rispetto a tale supposta violazione della disciplina in materia di trasparenza bancaria (segnatamente, del provvedimento Banca D' Italia 29.7.2009, sez. II, par. 8 con riguardo all' obbligo di riportare nei documenti di sintesi l' indicatore sintetico di costo anche nelle aperture di credito in conto corrente, ove siano offerte a clienti retail), s' impone inoltre il rilievo per cui l' ISC non è un elemento strutturale del contratto, il cui erroneo calcolo può incidere sulla validità del rapporto negoziale e comportare l' eterointegrazione del contratto con i tassi sostitutivi previsti dall' art. 117 TUB. Ed infatti, ai sensi delle istruzioni di vigilanza emanate dalla Banca D' Italia il 25 luglio 2003 titolo X, capitolo I, Sez. III, art. 3: "I contratti indicano il tasso d' interesse e ogni altro prezzo e condizione praticati, inclusi, per i contratti di credito, gli eventuali oneri di mora. Sono indicate, oltre alle commissioni spettanti alla banca, le voci di spesa a carico del cliente, ivi comprese le spese relative alle comunicazioni di cui alla sez. IV del presente Capitolo (Comunicazioni alla clientela). Il testo del contratto riporta almeno le condizioni economiche e le clausole indicate nel foglio informativo."; nella norma regolamentare pocanzi riportata, non vi è menzione dell' indicatore di costo.
Se ne trae che l' ISC non costituisce un vero e proprio tasso di interesse o una specifica condizione economica da applicare al contratto mediante il quale viene erogato il credito, ma svolge unicamente una funzione informativa finalizzata a mettere il cliente nella posizione di conoscere il costo totale effettivo del finanziamento prima di accedervi.
Esso quindi non costituisce un elemento contenutistico, tanto meno essenziale, del contratto, poiché è un mero indicatore del suo costo complessivo e non incide sulla determinatezza o determinabilità dell' oggetto dell' obbligazione, esaustivamente definita dalla pattuizione scritta del tasso d' interesse e di tutte le voci di costo dipendenti o collegate all' operazione.
Tale ricostruzione giuridica risulta avvalorata anche dalla collocazione sistematica dell' indicatore sintetico di costo, che non è inserito nell' art. 3 sez. III delle istruzioni della Banca D' Italia, ufficio di vigilanza, inerente la forma e il contenuto minimo dei contratti bancari, bensì nell' art. 9 sez. II riguardante la pubblicità e l' informazione precontrattuale.
Detto altrimenti, l' indicatore di costo non attiene agli elementi strutturali del contratto, bensì costituisce una rappresentazione, immediata e per l' appunto "sintetica", della sua onerosità ed inerisce quindi ai ben diversi profili della trasparenza e della informativa precontrattuale e contrattuale.
Vi è poi che la norma invocata dall' attrice (l' art. 117, co. 6 TUB :"Sono nulle e si considerano non apposte le clausole contrattuali.... che prevedono tassi, prezzi e condizioni più sfavorevoli per i clienti di quelli pubblicizzati") presuppone la sussistenza di una obbiettiva discrepanza non tra quanto pattuito e quanto in concreto applicato, bensì tra le condizioni economiche pattuite e quelle oggetto dell' informativa prenegoziale che l' intermediario deve offrire in conformità alle norme di settore in materia di trasparenza precontrattuale, discrepanza che invece parte attrice nemmeno ha allegato.
Né l' affermazione della nullità ex art. 117 co. 4 e 6 TUB del contratto può sorreggersi sulla contestazione in merito alla correttezza del calcolo del TAEG dichiarato nel contratto, in ipotesi determinato senza includervi ( O includendo in maniera scorretta) determinati oneri e voci di costo, ivi comprese anche quelle non contemplate dalla normativa in materia di trasparenza bancaria.
L' erronea indicazione del TAEG, non potrebbe comportare, di per sé, una maggiore onerosità del finanziamento, quanto piuttosto un' erronea rappresentazione del suo (N costo complessivo.
Non può dunque trovare applicazione l' ipotesi di nullità prevista dall' art. 117, sesto in co comma, TUB nell' ipotesi di "clausole contrattuali ... che prevedono tassi, prezzi e a condizioni più sfavorevoli per i clienti di quelli pubblicizzati", in quanto "non è messa -Q in discussione la determinatezza delle singole clausole che fissano i tassi di interesse -Q e gli altri oneri a carico del mutuatario, bensì l' ISC che, come sopra precisato, non determina alcuna condizione economica direttamente applicabile al contratto, ma C. esprime in termini percentuali il costo complessivo del finanziamento e svolge una o funzione meramente informativa" (cfr. ord. Tribunale di Roma, 19.4.2017 cit.) Né, a fortiori, sussistono i presupposti per l' applicazione del combinato disposto del LU 0-quarto e del settimo comma del medesimo art. 117 TUB che individua un tasso or sostitutivo nell' ipotesi, cui non è in alcun modo riconducibile il caso di specie, in cui Q difetti o sia nulla la clausola relativa agli interessi.
Come condivisibilmente affermato anche dal Tribunale di Milano (sent. n. 10832 del or LU 26.10.2017) la discrepanza tra ISC dichiarato e quello, eventualmente difforme ricalcolato, ha quindi rilievo solo con riferimento ai contratti di credito al consumo, Z per i quali l' art. 125 bis TUB prevede espressamente una specifica ipotesi di nullità di protezione.
Quando invece non sia applicabile, come nella fattispecie, il disposto dell' art. 125 bis TUB (non potendosi attribuire al sig. Z.XX la qualità di consumatore e non rientrando, comunque, il finanziamento, nei limiti dell' importo soglia previsto dall' art. 122, co. 1 lett. a) del TUB), anche laddove vi fosse una erronea rappresentazione del TAEG, tale evenienza non inciderebbe sulla validità negoziale, ma potrebbe al più costituire un comportamento illecito dell' intermediario e dar luogo a responsabilità risarcitoria per violazione degli obblighi di pubblicità e trasparenza imposti dall' art. 116 TUB, sempre che chi si affermi danneggiato sia poi in grado di dimostrare di aver sofferto effettivamente un pregiudizio patrimoniale (parametrandolo, ad esempio, alla concreta possibilità di concludere altri finanziamenti presso altri intermediari a condizioni migliori di quelle pattuite con l' istituto prescelto sulla scorta di una informativa prenegoziale incompleta o infedele). Per quel che concerne la doglianza di parte opponente relativa all' asserita nullità parziale ex art. 1815, co. 2 c.c. per violazione dell' art. 644 c.p., costituisce motivo assorbente di rigetto l' irrilevanza degli interessi moratori ai fini del calcolo del Tasso Effettivo Globale nelle operazioni di finanziamento a rimborso graduale (mutui e leasing). Questo tribunale si sia già espresso, motivatamente discostandosi dai pur autorevoli arresti della Suprema Corte di Cassazione nel senso dell' irrilevanza degli interessi moratori ai fini dell' applicazione dell' art. 644 c.p. e dell' art. 1815 co. 2 c.c. per le ragioni di diritto diffusamente trattate, tra le tante, nella sentenza n. 2476 del 12.11.2015 reperibile nel sito internet www. ilcaso. it, cui si rinvia anche ai sensi dell' art. 118 disp. Att. C.p.c. In estrema sintesi, le ragioni che fanno propendere per la tesi dell' irrilevanza vanno ravvisate: a) nel chiaro riferimento contenuto nell' art. 644 c.p. ai soli oneri che vengono previsti "in corrispettivo"del credito erogato, con ciò evocando profili di sinallagmaticità tra prestazioni nello sviluppo fisiologico del rapporto che mal si conciliano con la natura e la funzione sanzionatoria e risarcitoria dell' interesse di mora; b) nel rilievo che la portata obbiettiva della norma incriminatrice non è stata modificata, né avrebbe potuto esserlo, dalla Legge di interpretazione autentica (D.L. 394/2000), il cui oggetto era circoscritto unicamente alla questione di diritto intertemporale della rilevanza o meno della percezione di interessi oltre soglia nei finanziamenti a tasso fisso stipulati prima dell' entrata in vigore della legge 108/1996; c) nell' omessa rilevazione di una soglia specificamente riferita agli oneri da inadempimento, in mancanza della quale non è possibile operare un raffronto coerente tra dati omogenei (detto altrimenti, il principio di simmetria o di omogeneità nella comparazione tra TEG ( O TAEG) e T.XX riconosciuto e sancito, seppur in materia di conto corrente, da Cass. Civ. 12965/2016 e da Cass. Civ. 22270/2016); e, da ultimo, d) nella necessità che, ai fini dell' applicazione dell' art. 644 c.p. e dell' art. 1815, co. 2 c.c., si abbia riguardo unicamente al tasso pattuito al momento della stipula (Cass. Civ. SS.UU. 24675/2017), valutazione in cui è arduo, se non impossibile, considerare l' obbiettiva incidenza di oneri eventuali e necessariamente condizionati a sviluppi funzionali del contratto ex ante non preventivabili.
Va ribadita in particolare l' assoluta irrilevanza, ai fini della verifica del rispetto della normativa antiusura, dei c.d. scenari probabilistici e dei conteggi ipotetici, alla stregua dei quali sussisterebbe l' usura ed il contratto dovrebbe quindi divenire gratuito qualora, tra tutti i possibili sviluppi del rapporto nel corso del successivo C. ammortamento e prendendo in considerazione ogni onere (compresi quelli meramente -Q eventuali - quale la penale di estinzione anticipata - e quelli da inadempimento - gli in co interessi moratori, a prescindere dalla loro concreta applicazione) vi sia almeno una a ipotesi in cui il tasso effettivo annuo calcolato superi la soglia dell' usura.
-Q Le Voci di costo meramente potenziali non sono infatti immediatamente cogenti per (D -Q effetto della mera conclusione del contratto, ma sono invece subordinate al verificarsi s di eventi futuri, quale l' ipotizzata estinzione anticipata del mutuo alla prima rata, che w co nella fattispecie risultano addirittura di impossibile verificazione.
Vi è poi un insormontabile ostacolo logico. Al momento dell' accensione del CL finanziamento, mancano gli elementi per calcolare gli oneri eventuali: non si può CL sapere se e quando il mutuatario sarà inadempiente; se e quando si determinerà ad OC avvalersi della possibilità di estinguere anticipatamente il proprio debito e quale sarà il Q capitale residuo in quel momento.
E Ed è proprio il legislatore (con il noto decreto legge d' interpretazione autentica n. LU 394/2000) ad imporre che la verifica del rispetto delle soglie antiusura sia svolta al"solo momento della stipula del contratto.
Il TEG va quindi calcolato al "tempo 0", in base ai soli elementi suscettibili di essere.
Chi sostiene la tesi alla stregua della quale si deve procedere al controllo in concreto, con verifica postuma, dell' incidenza degli oneri effettivamente applicati sul costo complessivo del credito, non può quindi non convenire sull' irrilevanza degli scenari meramente ipotetici o di impossibile verificazione e, comunque deve prendere atto dell' impossibilità di configurare, all' esito di tale verifica ex post, una ipotesi di usura genetica, venendo semmai in rilievo profili di usurarietà sopravvenuta, di cui di recente le Sezioni Unite della S.C. hanno escluso ogni attitudine ad incidere sulla validità del contratto e dei suoi effetti (cfr. Cass. Civ. SS. UU. 24675/2017). Quanto alla pretesa nullità del mutuo per difetto di causa, in quanto stipulato per -Q ripianare preesistenti esposizioni debitorie del conto corrente n. 1246352 intestato allo in co stesso opponente, va rilevata l' infondatezza della censura, in quanto il contratto di a mutuo ipotecario ben può essere stipulato anche per estinguere una pregressa -Q esposizione debitoria, non configurando un "mutuo di scopo", come più volte (D -Q affermato dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. Sez. I Civ. sentenza n. 4792 del 26.03.2012). W. C. Quanto, infine, alle doglianze circa l' utilizzo dei giorni di calendario commerciale con 0 divisore 360 per il calcolo degli interessi, anch' esse appaiono infondate, in quanto la C. specificazione della base di calcolo degli interessi, segnatamente su 360 o 365 giorni, C. è squisitamente di natura matematica e dipende da come si considera la durata OC dell' anno; la scelta di optare per l' anno commerciale di 360 giorni (12 mesi da 30 Q giorni cadauno) e, conseguentemente all' Euribor base 360, anziché all' anno solare di 365 giorni è di norma addirittura vantaggiosa per il mutuatario perché il tasso Euribor OC LU divisore 360 si dimostra essere sempre inferiore rispetto a quello divisore 365. In ogni caso, della scelta non comporta alcuna incertezza nella interpretazione del z contratto ai fini della determinazione dell' obbligazione di corresponsione degli interessi, né viola il disposto di alcuna norma imperativa (tale non è l' art. 821, co. 3 c.c. invocato da parte opponente). A. luce di quanto sopra, tutti i motivi di opposizione vanno dunque disattesi.
Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo, a norma del d.m. 55/2014. Non si ravvisano i presupposti per la pronuncia dell' ulteriore condanna ex art. 96 c.p.c. p.q.m.
il Tribunale di Treviso, in composizione monocratica, in persona del dott. Andrea Valerio Cambi, disattesa ogni altra domanda, eccezione o istanza, definitivamente pronunciando, così provvede: - rigetta l' opposizione; - condanna il sig. Z.XX G.XXXXXX e la sig. ra C.XXX C.XXX alla rifusione delle spese di lite in favore dell' intervenuta ex art. 111 c.p.c. P.XXXXX A.XXX M.XXXXXXXX S.P.A. che si liquidano in complessivi 12.678, 00 oltre a spese generali al 15%, IVA (se dovuta) e CPA come per legge.
Così deciso in Treviso, 21/01/2019.
Il giudice Dott. Andrea Valerio Cambi

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Chi è l'autore
Avv. Luigi Cuccuru Mediatore Avv. Luigi Cuccuru
Docente di ruolo in materie giuridiche presso la scuola superiore Statale.
Iscritto all'Albo degli Avvocati di Sassari dal 1993, esercito la mia attività professionale prevalentemente nel campo del Diritto Civile, con particolare riferimento ai settori dell'Infortunistica Stradale, dei Contratti Assicurativi e controversie in materia condominiale.
Ho sviluppato una buona esperienza nella gestione di vertenze stragiudiziali, che hanno in comune con l'Istituto della Mediazione lo scopo di risolv...
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