La mediazione demandata: utile, efficace, ma poco applicata dai magistrati. Ecco i motivi.

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Letto 3273 dal 23/12/2014



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In un recentissimo intervento tenutosi a Roma alla Camera dei Deputati in occasione del Congresso Nazionale sui Servizi di ADR, il magistrato romano Massimo Moriconi  ha affrontato due aspetti interessanti nelle politiche di adr, sia riguardo l’efficacia della negoziazione assistita e dell’arbitrato ai sensi della normativa di recente introduzione, sia riguardo le ragioni che impediscono alla mediazione delegata di essere effettivamente applicata all’interno dei tribunali civili.
In ordine al primo profilo, il magistrato romano, pur ritenendo la negoziazione uno strumento importante in una ottica deflattiva del contenzioso, nei fatti, la valuta di scarsa efficacia, poiché viene chiesta agli avvocati un’attività di mediazione delle liti attraverso strumenti giuridici e professionali già in possesso prima della nuova riforma e che mai hanno avuto efficacia: in altri termini, se consideriamo che gli avvocati hanno sempre il polso della mediabilità di una lite, non si comprendono le ragioni per le quali prima della riforma i legali non definivano le liti, ed oggi, con la riforma e a parità di strumenti, dovrebbero farlo. Sarebbe necessario, invece, potenziare strumenti come la mediazione civile, sia per il ruolo affidato al mediatore, diverso dall’avvocato, sia per i risultati positivi che ad oggi già sono stati conseguiti.
In ordine al secondo profilo, invece, la possibilità di affermazione di una cultura giuridica della mediazione all’interno della magistratura civile, presuppone necessariamente una legge che permetta ai magistrati di essere valutati ogni qualvolta adottino provvedimenti di adr, ciò che invece non avviene. Ad esempio, la legge Castelli che prevede che ogni quattro anni i magistrati siano valutati ai fini della progressione della carriera, viene applicata esclusivamente sulle sentenze, non sui provvedimenti di adr. Il Ministero, dall’entrata in vigore della mediazione, avvenuta nel 2010, non ha ancora provveduto a ricomprendere i provvedimenti di adr tra i presupposti di valutazione della carriera dei magistrati. Ne consegue che il magistrato non ha alcun interesse a sottrarre tempo e studio al suo lavoro per adottare provvedimenti che seppur intesi al perseguimento del bene giustizia, non sono valutati ai fini della propria carriera, anzi, a contrario, incidono negativamente sul profitto del magistrato.
Di seguito il breve video con l’intervento del dott. Massimo Moriconi:
http://youtu.be/8Q6Z4GrzgzM
 
 
 
 







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