Ritenere infondate le pretese avanzate dalla controparte costituisce giustificato motivo per non partecipare alla mediazione?

Rss feed Invia ad un amico
Dott. Anna Casali

Tribunale di Verona, sentenza 21/3/2017

A cura del Mediatore Dott. Anna Casali da Milano.
Letto 2301 dal 08/03/2018

Commento:
L’avversità delle banche nei confronti del procedimento di mediazione è comportamento che sta portando sempre più giudici ad applicare in maniera puntuale e rigorosa l’art. 8, comma 4 bis, D. Lgs. 28/2010.
Nel caso di specie il Tribunale di Verona ha condannato al pagamento di una somma pari al contributo unificato per il giudizio oggetto della sentenza in commento la banca che, adducendo quale motivazione l’infondatezza delle pretese avanzate dalla controparte, ha deliberatamente deciso di non partecipare al procedimento di mediazione.
La mediazione è un istituto che mira ad evitare il contenzioso dinanzi alla autorità giudiziaria ragion per cui la mancata partecipazione deve essere corredata da giustificati e fondati motivi.

Testo integrale:

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Tribunale di Verona Sezione III Civile Il Tribunale,
in persona del Giudice Unico Massimo Vaccari ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di I Grado iscritta al N. XXX/2014 R.G. promossa da: E. S.R.L. (C.F. ) F. M. (C.F.) F. A. M. (C.F. ) rappresentati e difesi dall’abogado-avvocato stabilito S. D. L. del foro di Roma;
ATTORI
contro
BANCA, (C.F. ) rappresentata e difesa dall’avv. A. S., presso il cui studio, sito in Verona, è elettivamente domiciliata;
CONVENUTA
CONCLUSIONI PARTE ATTRICE
Come da atto introduttivo del giudizio e memorie ex art. 183, VI comma, c.p.c
PARTE CONVENUTA
Come da verbale di udienza del 17 novembre 2016
MOTIVI DELLA DECISIONE
E. s.r.l., in qualità di debitrice principale, e i suoi garanti M. F. e A. M. F. hanno promosso, davanti a questo Tribunale, nei confronti della Banca un’azione d’indebito oggettivo, finalizzata ad ottenere la restituzione delle somme indebitamente addebitate dalla banca, quantificate in euro 149.529,89 nel corso di un rapporto di conto corrente affidato, avente n. , acceso da E. s.r.l. A sostegno di tale domanda, e di quelle di accertamento che ne costituiscono il presupposto, gli attori hanno dedotto che, nel corso del rapporto di conto corrente, l’istituto di credito aveva applicato interessi passivi ultralegali, non pattuiti e variati unilateralmente, e comunque superiori al tasso soglia e comunque in condizioni di usura soggettiva della debitrice principale, nonché la capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori. Gli attori hanno anche lamentato che nel corso del rapporto erano state applicate una commissione di massimo scoperto invalida per difetto di pattuizione per iscritto e di causa, e costi aggiuntivi determinati da giorni valuta non specificamente pattuiti. Gli attori hanno anche svolto hanno anche svolto una domanda di declaratoria di liberazione dalla garanzia dei fideiussori e una domanda di condanna della convenuta alla corretta segnalazione alla centrale rischi interbancaria del rapporto per cui è causa come contestato e una domanda risarcitoria dei danni patrimoniali subiti a seguito delle predette condotte. La convenuta si è costituita in giudizio, eccependo in via preliminare di merito la inammissibilità delle domande di controparte, sulla scorta del presupposto che il rapporto citato da controparte era ancora in essere a quella data e in ogni caso l’estinzione per prescrizione del diritto di cre avessero potuto stimare quale fosse stato il tasso di interesse debitorio pattuito e quali le variazioni che esso poteva aver subito nel corso del rapporto. Parimenti generico è l’assunto relativo alla situazione di usura soggettiva in cui si sarebbe trovata la società attrice al momento della conclusione del contratto, in difetto della precisazione di quali sarebbero stati l’entità del tasso concretamente applicato, di quale fosse stato il tasso medio praticato per operazioni similari da assumere come riferimento per la valutazione del caso e quali le condizioni finanziarie in cui versava l’attrice, che avrebbero potuto consentire di evincere tale stato. A giustificare il rigetto della doglianza relativa alla pretesa applicazione della capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori è sufficiente la considerazione che il contratto di conto corrente per cui è causa è stato stipulato, come precisato e documentato dalla convenuta, il 14 febbraio 2001 (doc. 19 di parte convenuta) e quindi in data successiva al momento in cui è stata data attuazione alla delibera Cicr. Come evidenziato dalla convenuta poi in esso era stata espressamente prevista la pari periodicità degli interessi debitori e di quelli creditori. L’assunto relativo alla nullità della c.m.s. per difetto di causa è invece infondato in diritto poiché tale commissione, come chiarito da copiosa giurisprudenza anche di legittimità, costituisce il corrispettivo dovuto alla banca per la messa a disposizione della liquidità accordata. Essa poi, come evidenziato dalla difesa della convenuta, è stata oggetto di analitica disciplina nelle aperture di credito collegate al rapporto per cui è causa atteso che in esse era stato precisata non solo la sua entità ma anche il suo parametro di riferimento e la periodicità di rilevazione di quest’ultimo. Quanto poi alla doglianza relativa alla applicazione di interessi debitori usurari nel corso del rapporto di conto corrente anch’essa va disattesa poiché si fonda su criteri non condivisibili. A tale riguardo, occorre innanzitutto osservare che, per il periodo precedente all’entrata in vigore della L. n. 2/09, non si condivide l’assunto teorico attoreo che ricollega il metodo di calcolo del TEG alla diretta applicazione del principio di cui all’art. 644, 4 comma cod.pen., (“…per la determinazione del tasso d’interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate all’erogazione del credito”), che ricomprende nel calcolo del TEG anche la CMS. Invero, può evidenziarsi, criticamente, che tale assunto: 1) porta alla ‘disapplicazione’ delle Istruzioni emanate dalla Banca d’Italia ai sensi dell’alt 2, comma 1, della legge n. 108/96, che espressamente escludono la CMS dal computo del TEG prevedendone la rilevazione separata (vedi pgf. C5 delle Istruzioni come periodicamente aggiornate sino al 2009), senza tuttavia considerare che la stessa legge 108/96, nel rimettere all’autorità amministrativa ministeriale il compito del rilevamento periodico dei tassi, esige la rilevazione comparata di “… operazioni della stessa natura”, cioè di elementi omogenei tra loro, quali non sono gli interessi e la CMS, ove concepita, secondo il modello di tecnica bancaria (ripreso poi anche da Cass. n. 870/06, che ne ha valorizzato il carattere di remunerazione per la messa disposizione dei fondi indipendente dall’effettivo prelevamento) come “…il corrispettivo pagato dal cliente per compensare l’intermediario dell’onere di dover essere sempre in grado di fronteggiare una rapida espansione nell’utilizzo dello scoperto del conto” (cfr. Istruzioni Banca d’Italia, nei vari aggiornamenti periodici, sub pgf. C5) e perciò fatta oggetto di autonoma rilevazione “…finalizzata all’enucleazione di una specifica soglia usuraria ad hoc, all’evidente fine di non omogeneizzare categorie di interessi pecuniari finanziariamente disomogenei (si pensi, ad es., a quelli che accedono al mutuo fondiario familiare per l’acquisto della prima casa rispetto a quelli, assai diversi financo sul piano ragionieristico, derivanti da apertura di credito in conto corrente in favore di impresa commerciale”) (cfr. Tribunale di Verona, sent. 3/10/12); 2) non tiene conto del fatto che, riconosciuta nell’art. 644 una norma penale in bianco suscettibile di eterointegrazione per la determinazione del “…limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari”, sono gli stessi Decreti Ministeriali di rilevazione dei tassi usurari, emessi ai sensi dell’art. 2 della legge n. 108/96 e, quindi, integrativi della stessa norma penale (cfr. art. 644, 3 comma, cod.pen.), che, ‘legificando’ il criterio tecnico della B.I.: a) prevedono espressamente che i tassi non sono comprensivi della commissione di massimo scoperto eventualmente applicata, la quale viene rilevata e pubblicata a parte, come allegato alla tabella dei tassi (cfr. art. 1, 2 comma, dei decreti); b) fanno propri i criteri illustrati dalla Banca d’Italia nelle “Istruzioni per la rilevazione del tasso effettivo globale medio ai sensi della legge sull’usura”, che sono elaborate dall’Istituto di Vigilanza non già per ragioni interne al sistema bancario o meramente statistiche bensì proprio nell’ambito del procedimento disciplinato dall’art. 2 della legge n. 108/96; c) ribadiscono che le banche e gli intermediari finanziari, al fine di verificare il rispetto del limite di cui all’art. 2, 4 comma, della legge n. 108/96, si attengono ai criteri di calcolo delle Istruzioni della Banca d’Italia (cfr. art. 3, 2 comma, dei decreti). Inoltre, la tesi dell’inclusione della CMS nel calcolo del TEG, si pone in aperto contrasto: a) con la ultima parte del 2 comma dell’art. 2 bis della legge n. 2/09, che, a chiusura del dibattito giurisprudenziale insorto negli anni in materia, ha previsto l’inclusione della CMS nel calcolo del TEG solo a partire dalla data dell’entrata in vigore della legge stessa, confermando per il periodo precedente la disciplina anteriormente in vigore (cfr. l’art. 2 bis, 2 comma, ultima parte, della L. 2/09, secondo cui “Il Ministro dell’economia e delle finanze, sentita la Banca d’Italia, emana disposizioni transitorie in relazione all’applicazione dell’articolo 2 della legge 7 marzo 1996, n. 108, per stabilire che il limite previsto dal terzo comma dell’articolo 644 del codice penale, oltre il quale gli interessi sono usurari, resta regolato dalla disciplina vigente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto fino a che la rilevazione del tasso effettivo globale medio non verrà effettuata tenendo conto delle nuove disposizioni”); b) con la prima parte del 2 comma dell’art. 2 bis della legge n. 2/09, che correlativamente prevede che “Gli interessi, le commissioni e le provvigioni derivanti dalle clausole, comunque denominate, che prevedono una remunerazione, a favore della banca, dipendente dall’effettiva durata dell’utilizzazione dei fondi da parte del cliente, dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono comunque rilevanti ai fini dell’applicazione dell’articolo 1815 del codice civile, dell’articolo 644 del codice penale e degli articoli 2 e 3 della legge 7 marzo 1996, n. 108”). Venendo alla regolamentazione delle spese di lite esse vanno poste a carico degli attori in applicazione del principio della soccombenza. Alla liquidazione delle somme spettanti a titolo di compenso si procede come in dispositivo sulla base del d.m. 55/2014. In particolare il compenso per le fasi di studio ed introduttiva può essere determinato assumendo a riferimento i corrispondenti valori medi di liquidazione previsti dal succitato regolamento mentre quello per le fasi istruttoria e decisionale va quantificato in una somma pari ai corrispondenti valori medi di liquidazione, ridotti del 50 %, alla luce della considerazione che la prima è consistita nel solo deposito delle memorie ex art. 183 VI comma c.p.c.. e nella partecipazione a due udienze non di mero rinvio mentre nella fase decisionale le parti hanno ripreso le medesime argomentazioni che avevano già svolto in precedenza. L’importo complessivo così risultante, pari ad euro 8.705,00 va aumentato del 30 % ai sensi dell’art. 4, comma 2, d.m. 55/2014. Sull’importo riconosciuto a titolo di compenso alla convenuta spetta anche il rimborso delle spese generali nella misura massima consentita del 15 % della somma sopra indicata. Infine la convenuta va condannata, ai sensi dell’art. 8, comma 4 bis, d. lgs. 28/2010 a corrispondere all’entrata del bilancio dello Stato una somma pari al contributo unificato, atteso che non ha partecipato al procedimento di mediazione, svoltosi in corso di causa, senza addurre un giustificato motivo. Non può infatti essere presa in considerazione la giustificazione che essa aveva dato di tale sua scelta, nella comunicazione inviata all’organismo di mediazione, di ritenere infondate le pretese di controparte. P.Q.M. Il Giudice unico del Tribunale di Verona, definitivamente pronunciando ogni diversa ragione ed eccezione disattesa e respinta, dichiara inammissibile la domanda di ripetizione di indebito avanzata dagli attori; rigetta tutte le altre domande dai medesimi svolte e per l’effetto li condanna in solido tra loro a rifondere alla convenuta le spese del presente giudizio che liquida nella somma di euro 11.316,50, oltre rimborso spese generali nella misura del 15% del compenso, Iva, se dovuta, e Cpa. Visto l’art. 8, comma 4 bis, d. lgs. 28/2010 condanna la convenuta al pagamento all’entrata del bilancio dello Stato della somma di euro 450,00. Verona 21/03/2017 il Giudice Dott. Massimo Vaccari

aa
Chi è l'autore
Dott. Anna Casali Mediatore Dott. Anna Casali
Laureata in giurisprudenza a Milano. Ho maturato un’esperienza decennale in ambito notarile, con specializzazione in materia successoria, immobiliare e tutela di incapaci.
Mi dedico con passione alla Mediazione dei Conflitti dal 2000. Sono Mediatrice civile, Mediatrice familiare e Mediatrice sociale (vicinato, scuole, organizzazioni e conflittualità in genere).
Ho partecipato in veste di relatrice a numerosi percorsi formativi in ambito della gestione del conflitto, negoziazione, comunicazi...
continua





Per noi la tutela della privacy è una cosa seria: I dati immessi non vengono usati per scopi pubblicitari, in ottemperanza al D.lgs.196/2003

I campi contrassegnato con (*) sono obbligatori

Invia







ok