Le origini della controversia
Come noto, la questione della determinazione del valore nelle controversie di divisione sottoposte a mediazione ha generato un acceso dibattito sia in ambito giurisprudenziale che dottrinale. La disputa trae origine dalla necessità di coordinare i principi generali del processo civile in materia di determinazione del valore del giudizio con le specificità della procedura di mediazione, creando una zona di incertezza applicativa che ha diviso gli interpreti: da un lato, vi è chi sostiene che il valore della mediazione debba corrispondere esclusivamente alla quota di pertinenza dell’istante, argomentando della natura bilaterale della procedura di mediazione e della circostanza che l'interesse economico diretto del richiedente è limitato alla propria quota ereditaria; dall’altro lato, invece, si colloca l’orientamento che privilegia l’applicazione integrale dei criteri processuali civili, sostenendo che il valore debba essere determinato con riferimento all’intero compendio da dividere, in analogia con quanto previsto per le azioni di divisione giudiziale.
Come noto, la questione della determinazione del valore nelle controversie di divisione sottoposte a mediazione ha generato un acceso dibattito sia in ambito giurisprudenziale che dottrinale. La disputa trae origine dalla necessità di coordinare i principi generali del processo civile in materia di determinazione del valore del giudizio con le specificità della procedura di mediazione, creando una zona di incertezza applicativa che ha diviso gli interpreti: da un lato, vi è chi sostiene che il valore della mediazione debba corrispondere esclusivamente alla quota di pertinenza dell’istante, argomentando della natura bilaterale della procedura di mediazione e della circostanza che l'interesse economico diretto del richiedente è limitato alla propria quota ereditaria; dall’altro lato, invece, si colloca l’orientamento che privilegia l’applicazione integrale dei criteri processuali civili, sostenendo che il valore debba essere determinato con riferimento all’intero compendio da dividere, in analogia con quanto previsto per le azioni di divisione giudiziale.
- La tesi della quota dell’istante
L’orientamento favorevole alla determinazione del valore sulla base della sola quota dell’istante trova i suoi fondamenti in una serie di argomentazioni sistematiche. In primo luogo, si evidenzia la specificità della procedura di mediazione rispetto al giudizio ordinario, sottolineando come la mediazione abbia carattere essenzialmente bilaterale e sia finalizzata alla composizione di interessi specifici e circoscritti. In tale prospettiva, il valore rilevante sarebbe quello corrispondente all’interesse economico diretto del richiedente, vale a dire la sua quota di partecipazione alla comunione ereditaria. Chi sostiene tale tesi si basa principalmente sulla sent. Cass. Civ. n. 195/2020 che, seppur trattando il tema della liquidazione dell’onorario del difensore, incidenter tantum indica che “ai fini della liquidazione degli onorari di avvocato, nelle controversie aventi ad oggetto un’azione di riduzione per lesione della quota di legittima, il valore della causa non è quello della massa attiva ex art. 12 c.p.c., ma quello della quota in contestazione, applicandosi analogicamente la disciplina dettata per i giudizi di divisione dall’art. 6 del d.m. n. 127 del 2004, in quanto tale norma è diretta a collegare il valore della causa all’interesse in concreto perseguito dalla parte”.
Tale tesi trova supporto considerando che la mediazione, a differenza del giudizio di divisione, non comporta necessariamente la cessazione dell’intero stato di comunione, potendo limitarsi alla risoluzione di specifici aspetti controversi tra determinati coeredi. Conseguentemente, il valore da considerare dovrebbe essere proporzionato all’effettivo interesse in gioco, evitando distorsioni che potrebbero comportare l’applicazione di contributi sproporzionati rispetto all’utilità economica perseguita dal richiedente. Inoltre, si osserva che l’applicazione del criterio della quota consentirebbe una maggiore flessibilità procedurale, adattando la procedura di mediazione alle specificità del caso concreto e alle effettive esigenze dei soggetti coinvolti.
Parte della dottrina ha sostenuto questa impostazione rilevando come la mediazione, per sua natura, si caratterizzi per la ricerca di soluzioni negoziali personalizzate, che ben si adattano alla logica della proporzionalità tra valore dichiarato e interesse sostanziale perseguito. In particolare, autorevoli commentatori hanno evidenziato come l’adozione del criterio della quota consentirebbe di evitare situazioni paradossali in cui il richiedente si vedrebbe costretto a versare contributi calcolati su valori eccedenti il proprio interesse economico diretto, con conseguente disincentivazione all’utilizzo dello strumento deflattivo.
Tale tesi trova supporto considerando che la mediazione, a differenza del giudizio di divisione, non comporta necessariamente la cessazione dell’intero stato di comunione, potendo limitarsi alla risoluzione di specifici aspetti controversi tra determinati coeredi. Conseguentemente, il valore da considerare dovrebbe essere proporzionato all’effettivo interesse in gioco, evitando distorsioni che potrebbero comportare l’applicazione di contributi sproporzionati rispetto all’utilità economica perseguita dal richiedente. Inoltre, si osserva che l’applicazione del criterio della quota consentirebbe una maggiore flessibilità procedurale, adattando la procedura di mediazione alle specificità del caso concreto e alle effettive esigenze dei soggetti coinvolti.
Parte della dottrina ha sostenuto questa impostazione rilevando come la mediazione, per sua natura, si caratterizzi per la ricerca di soluzioni negoziali personalizzate, che ben si adattano alla logica della proporzionalità tra valore dichiarato e interesse sostanziale perseguito. In particolare, autorevoli commentatori hanno evidenziato come l’adozione del criterio della quota consentirebbe di evitare situazioni paradossali in cui il richiedente si vedrebbe costretto a versare contributi calcolati su valori eccedenti il proprio interesse economico diretto, con conseguente disincentivazione all’utilizzo dello strumento deflattivo.
- La tesi della rendita catastale complessiva
Il contrapposto orientamento che privilegia la determinazione del valore della mediazione sulla base della rendita catastale complessiva dei beni da dividere trova, invece, il suo fondamento nell’applicazione rigorosa dei principi processuali civilistici in materia di valore delle controversie e nello specifico sull’art. 12, II comma, c.p.c.. Sul punto è, poi, intervenuta anche la Corte di Cassazione con la decisione n. 20126/14 che, trattando del valore del giudizio in relazione al compenso del difensore, ha sancito che “deve, al riguardo, richiamarsi l’indirizzo giurisprudenziale secondo il quale nei giudizi divisori il valore della causa, ai fini della liquidazione del compenso ai difensori, si determina in base alla massa da dividere, se la controversia riguarda la sua entità, ed in base alla quota se la contestazione riguardi solo quest'ultima (cfr. Cass., sent. n. 11222 del 1997)”.
La ratio di tale impostazione risiede nella considerazione che la divisione, per sua natura, investe l’intero compendio da dividere, indipendentemente dalla specifica quota del richiedente. La controversia divisoria, infatti, non si limita alla rivendicazione di una quota determinata, ma ha ad oggetto le modalità, i criteri e gli effetti della cessazione dello stato di comunione, aspetti che necessariamente coinvolgono l’intero patrimonio comune. In tale prospettiva, il valore della controversia deve riflettere l’interesse economico complessivo sotteso alla procedura, prescindendo dalla specifica posizione soggettiva del richiedente.
La giurisprudenza di legittimità ha progressivamente consolidato questo orientamento, chiarendo che nelle azioni di divisione il criterio di determinazione del valore deve garantire omogeneità e coerenza con i principi generali del processo civile. La Suprema Corte ha, inoltre, evidenziato come l’adozione di criteri soggettivi legati alla quota del richiedente comporterebbe inaccettabili disparità di trattamento e renderebbe eludibili le norme sulla competenza per valore. Tale impostazione trova conferma nella circostanza che la divisione, una volta perfezionata, produce effetti nei confronti di tutti i partecipanti alla comunione, indipendentemente dalla loro posizione processuale di richiedenti o convenuti.
La ratio di tale impostazione risiede nella considerazione che la divisione, per sua natura, investe l’intero compendio da dividere, indipendentemente dalla specifica quota del richiedente. La controversia divisoria, infatti, non si limita alla rivendicazione di una quota determinata, ma ha ad oggetto le modalità, i criteri e gli effetti della cessazione dello stato di comunione, aspetti che necessariamente coinvolgono l’intero patrimonio comune. In tale prospettiva, il valore della controversia deve riflettere l’interesse economico complessivo sotteso alla procedura, prescindendo dalla specifica posizione soggettiva del richiedente.
La giurisprudenza di legittimità ha progressivamente consolidato questo orientamento, chiarendo che nelle azioni di divisione il criterio di determinazione del valore deve garantire omogeneità e coerenza con i principi generali del processo civile. La Suprema Corte ha, inoltre, evidenziato come l’adozione di criteri soggettivi legati alla quota del richiedente comporterebbe inaccettabili disparità di trattamento e renderebbe eludibili le norme sulla competenza per valore. Tale impostazione trova conferma nella circostanza che la divisione, una volta perfezionata, produce effetti nei confronti di tutti i partecipanti alla comunione, indipendentemente dalla loro posizione processuale di richiedenti o convenuti.
- Le posizioni dottrinali e il dibattito scientifico
Il dibattito dottrinale sulla questione ha visto contrapporsi autorevoli posizioni, riflettendo la complessità teorica e pratica del problema. Una parte significativa della dottrina ha sostenuto l’applicazione integrale dei criteri dell’art. 12 c.p.c., evidenziando come la mediazione, pur presentando caratteristiche procedurali specifiche, non possa prescindere dai principi fondamentali in materia di valore delle controversie. Questa corrente dottrinale, rappresentata da insigni studiosi del processo civile, ha sottolineato come l’adozione di criteri differenziati per la mediazione comporterebbe un’ingiustificata frammentazione del sistema processuale.
D’altro canto, la dottrina favorevole al criterio della quota ha sviluppato argomentazioni sistematiche di notevole interesse, evidenziando come la specificità della mediazione richieda un approccio interpretativo sensibile alle sue finalità deflattive. Secondo questa impostazione, l’eccessivo formalismo nell’applicazione dei criteri processuali tradizionali rischierebbe di vanificare l’efficacia dello strumento, creando ostacoli economici sproporzionati rispetto agli obiettivi perseguiti. Parte della dottrina specializzata in ADR ha inoltre evidenziato come la flessibilità nella determinazione del valore costituisca elemento essenziale per l’adattamento della mediazione alle specifiche esigenze dei soggetti coinvolti.
Il dibattito dottrinale ha anche investito profili di carattere sistematico più ampi, relativi al rapporto tra mediazione e processo civile e alla necessità di garantire coerenza interpretativa tra i diversi strumenti di tutela dei diritti. Autorevoli voci hanno sostenuto la necessità di un approccio ermeneutico che tenga conto delle specificità ontologiche della mediazione, mentre altri hanno privilegiato la continuità con i principi processuali consolidati. Tale dibattito ha contribuito ad arricchire la riflessione scientifica sulla natura e le finalità degli strumenti alternativi di risoluzione delle controversie.
D’altro canto, la dottrina favorevole al criterio della quota ha sviluppato argomentazioni sistematiche di notevole interesse, evidenziando come la specificità della mediazione richieda un approccio interpretativo sensibile alle sue finalità deflattive. Secondo questa impostazione, l’eccessivo formalismo nell’applicazione dei criteri processuali tradizionali rischierebbe di vanificare l’efficacia dello strumento, creando ostacoli economici sproporzionati rispetto agli obiettivi perseguiti. Parte della dottrina specializzata in ADR ha inoltre evidenziato come la flessibilità nella determinazione del valore costituisca elemento essenziale per l’adattamento della mediazione alle specifiche esigenze dei soggetti coinvolti.
Il dibattito dottrinale ha anche investito profili di carattere sistematico più ampi, relativi al rapporto tra mediazione e processo civile e alla necessità di garantire coerenza interpretativa tra i diversi strumenti di tutela dei diritti. Autorevoli voci hanno sostenuto la necessità di un approccio ermeneutico che tenga conto delle specificità ontologiche della mediazione, mentre altri hanno privilegiato la continuità con i principi processuali consolidati. Tale dibattito ha contribuito ad arricchire la riflessione scientifica sulla natura e le finalità degli strumenti alternativi di risoluzione delle controversie.
- Gli sviluppi giurisprudenziali recenti e la prassi applicativa
L’evoluzione giurisprudenziale della questione ha mostrato una progressiva convergenza verso l’adozione del criterio della rendita catastale complessiva, pur permanendo alcune oscillazioni in sede di merito. La Cassazione ha manifestato un orientamento sempre più consolidato nel senso dell’applicazione integrale dei criteri processuali civili, considerando la mediazione come fase prodromica del processo e non come procedimento autonomo svincolato dai principi generali. Tale evoluzione ha trovato conferma in una serie di pronunce che hanno chiarito come la specificità della mediazione non possa giustificare deroghe ai criteri obiettivi di determinazione del valore. Inoltre, nella prassi applicativa si è progressivamente affermata l’adozione di tale ultimo criterio, anche in ragione della maggiore sicurezza giuridica che tale approccio garantisce.
Sul punto va menzionata (in quanto particolarmente significativa) la prassi notarile in relazione alla trascrizione degli accordi di mediazione aventi ad oggetto divisioni ereditarie. I notai hanno progressivamente adottato criteri di controllo sempre più rigorosi sulla corrispondenza tra valore dichiarato e criteri legali, contribuendo a consolidare l’orientamento favorevole alla rendita catastale complessiva. Tale evoluzione ha avuto riflessi positivi sulla sicurezza giuridica degli accordi raggiunti in sede di mediazione.
Conclusioni
La controversia sulla determinazione del valore nelle mediazioni aventi ad oggetto divisioni ereditarie rappresenta senza alcun dubbio un significativo banco di prova per la capacità del sistema giuridico di adattare i principi processuali tradizionali alle esigenze degli strumenti alternativi di risoluzione delle controversie. Il progressivo consolidamento dell’orientamento favorevole alla rendita catastale complessiva testimonia la prevalenza di un approccio interpretativo che privilegia la coerenza sistematica e la certezza giuridica rispetto alla flessibilità applicativa. Tale evoluzione, infatti, pur comportando alcuni profili di rigidità, garantisce maggiore prevedibilità delle conseguenze processuali e contribuisce a rafforzare la credibilità della mediazione come strumento di deflazione del contenzioso. La definitiva risoluzione della controversia interpretativa rappresenta pertanto un importante traguardo per la maturazione del sistema della mediazione civile e per il suo consolidamento come componente essenziale del sistema di tutela dei diritti, anche se non può essere taciuto che sotto un altro punto di vista non va dimenticato che in alcuni casi va attuato un attento bilanciamento tra rigore sistematico e flessibilità applicativa, per evitare irrigidimenti eccessivi che possano compromettere l’efficacia deflattiva dello strumento della mediazione.
Sul punto va menzionata (in quanto particolarmente significativa) la prassi notarile in relazione alla trascrizione degli accordi di mediazione aventi ad oggetto divisioni ereditarie. I notai hanno progressivamente adottato criteri di controllo sempre più rigorosi sulla corrispondenza tra valore dichiarato e criteri legali, contribuendo a consolidare l’orientamento favorevole alla rendita catastale complessiva. Tale evoluzione ha avuto riflessi positivi sulla sicurezza giuridica degli accordi raggiunti in sede di mediazione.
Conclusioni
La controversia sulla determinazione del valore nelle mediazioni aventi ad oggetto divisioni ereditarie rappresenta senza alcun dubbio un significativo banco di prova per la capacità del sistema giuridico di adattare i principi processuali tradizionali alle esigenze degli strumenti alternativi di risoluzione delle controversie. Il progressivo consolidamento dell’orientamento favorevole alla rendita catastale complessiva testimonia la prevalenza di un approccio interpretativo che privilegia la coerenza sistematica e la certezza giuridica rispetto alla flessibilità applicativa. Tale evoluzione, infatti, pur comportando alcuni profili di rigidità, garantisce maggiore prevedibilità delle conseguenze processuali e contribuisce a rafforzare la credibilità della mediazione come strumento di deflazione del contenzioso. La definitiva risoluzione della controversia interpretativa rappresenta pertanto un importante traguardo per la maturazione del sistema della mediazione civile e per il suo consolidamento come componente essenziale del sistema di tutela dei diritti, anche se non può essere taciuto che sotto un altro punto di vista non va dimenticato che in alcuni casi va attuato un attento bilanciamento tra rigore sistematico e flessibilità applicativa, per evitare irrigidimenti eccessivi che possano compromettere l’efficacia deflattiva dello strumento della mediazione.