La “nuova” mediazione demandata

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Avv. Beatrice Napolitano

Cosa cambierà, dopo il 30 giugno, con l’entrata in vigore a pieno regime della c.d. riforma Cartabia. In che modo tale riforma ha modificato ed integrato il d. Lgs n. 28/2010?

A cura del Mediatore Avv. Beatrice Napolitano da Padova.
Letto 1621 dal 28/04/2023

La mediazione demandata è quella particolare ipotesi di percorso in mediazione che le Parti intraprendono su ordine del Giudice, in materie per le quali la mediazione non è obbligatoria.
Inizialmente, l’istituto trovava la sua disciplina nell’art. 5, comma 2, del D. Lgs. n. 28/2010, il quale prevedeva che il Giudice, nel corso del giudizio pendente dinanzi a lui, potesse invitare le parti a procedere alla mediazione. L'invito, come il termine stesso usato dal legislatore lasciava intendere, non era tuttavia vincolante. Ciò significa che le Parti potevano accoglierlo o meno, senza che fosse prevista alcuna conseguenza sanzionatoria nel caso in cui decidessero di non aderirvi.
Il Decreto Legge n. 69 del 21 giugno 2013, modificava l’articolo 5, attribuendo al Giudice il potere di disporre, “valutata la natura della causa, lo stato dell'istruzione e il comportamento delle parti” l’esperimento del procedimento di mediazione. L’invito veniva quindi sostituito dall’ordine del Giudice e l’esperimento del procedimento diventava condizione di procedibilità della domanda giudiziale.
La riforma non sortiva tuttavia i risultati sperati poiché, se nel 2013 la percentuale di mediazioni demandate dai Giudici si assestava all’1,9% sul totale delle mediazioni definite (comprese quindi le volontarie e le obbligatorie), nel 2021 la percentuale saliva al 16%, di cui tuttavia il 94% rappresentato dalle mediazioni demandate per improcedibilità della domanda giudiziale in quanto relative a materie obbligatorie (così dette “delegate”), mentre soltanto il 6% rappresentato dalle demandate in materie non obbligatorie. Appare quindi evidente che le mediazioni demandate “in senso stretto” sono in realtà scese rispetto al 2013, assestandosi allo 0,96% delle mediazioni definite. (Fonte DG-Stat, Direzione generale di statistica e analisi organizzativa, istituita all’interno del Ministero della Giustizia con Decreto del Presidente della Repubblica nel 2001 per l’acquisizione, il controllo e la gestione dei dati relativi alla statistica giudiziaria in materia civile, penale ed amministrativo-contabile). Si tratta di dati chiaramente avvilenti e che hanno portato il legislatore ad intervenire, al fine di rendere più efficace un istituto che non è riuscito a deflazionare il carico degli Uffici Giudiziari.

La nuova disciplina
La riforma Cartabia ha modificato ed integrato il corpo normativo rappresentato dal d. Lgs. n. 28/2010. In particolare, è stato inserito l’articolo 5-quater rubricato “Mediazione demandata dal Giudice”. Pertanto, dal 30 giugno 2023 (data di entrata in vigore della norma), l’istituto de quo non sarà più disciplinato dall’art. 5 ma avrà una sua autonoma collocazione, con l’evidente obiettivo di rendere dignità ad uno strumento di risoluzione alternativo delle controversie rimasto fino ad oggi poco utilizzato. 
La lettura superficiale della norma potrebbe tuttavia deludere le aspettative dell’operatore, poiché le differenze ravvisabili, rispetto alla formulazione dell’art. 5, comma 2, (ancora in vigore fino al 30 giugno), non appaiono rivoluzionarie. 
Si precisa che il potere del Giudice di demandare le Parti in mediazione può essere esercitato, sia in primo grado che in sede di Giudizio di Appello, fino al momento della precisazione delle conclusioni, con ciò sciogliendo ogni potenziale dubbio sul termine ultimo di esercizio del potere attribuito al Giudice. 
Si precisa inoltre che il provvedimento con cui il Giudice demanda le Parti in mediazione debba assumere la forma dell’ordinanza motivata
Tale puntualizzazione, che potrebbe apparire prima facie banale, ha invece una grande portata. Generalmente, le norme del codice di procedura civile non dispongono espressamente che le ordinanze pronunciate dal Giudice debbano essere motivate (si veda per esempio il nuovo art. 183-ter che disciplina l’ordinanza di accoglimento della domanda nel processo di cognizione o l’art. 663 che disciplina l’ordinanza di convalida della licenza o dello sfratto). La regola rinvenibile nell’art. 134 c.p.c., è infatti che l’ordinanza pronunciata dal Giudice debba essere succintamente motivata. 
Pertanto, la formulazione dell’art. 5-quater, con il riferimento all’obbligo di una motivazione (non succinta quindi) dell’ordinanza che demanda le parti in mediazione, non è affatto casuale, ma impone che la decisione del Giudice sia il frutto di un’attenta analisi del caso di specie e dello stato della causa e che di tale analisi il Giudice debba rendere conto alle Parti in modo esaustivo, al fine di giustificare il proprio provvedimento, anche in considerazione del fatto che il potere del Magistrato può essere esercitato fino ad una fase molto avanzata del processo (il momento della precisazione delle conclusioni), con il rischio di inasprire ulteriormente il conflitto. Quando le Parti si trovano prossime alla sentenza, tendono infatti ad essere meno disposte a trattare.
La decisione del Giudice deve quindi essere assunta con molta cautela e previa analisi di tutti i fattori indicati dal legislatore: la natura della causa, lo stato dell’istruzione, il comportamento delle parti ed ogni altra circostanza (che possa evidentemente essergli utile a tal fine n.d.a.). Con quest’ultima espressione, introdotta dalla Riforma, evidentemente il legislatore ha voluto ampliare il novero dei motivi che possono convincere il Giudice in merito alla mediabilità della causa.
Le “altre circostanze” cui si riferisce la norma potrebbero consistere, per esempio, in modifiche soggettive verificatesi nel corso del giudizio, si pensi al caso in cui l’attore sia medio tempore deceduto e la causa venga riassunta dai suoi eredi, che potrebbero essere del tutto estranei al conflitto personale esistente tra il de cuiused il convenuto e, quindi, maggiormente disponibili ad un dialogo. Ma si pensi anche al caso in cui intervenga una modifica oggettiva del giudizio, come la proposizione di una domanda riconvenzionale che potrebbe rendere l’attore meno arroccato sulle proprie posizioni.
Un’altra circostanza potrebbe essere rappresentata da un mutamento dell’indirizzo giurisprudenziale sul caso oggetto del giudizio, con conseguente incidenza sulla forza processuale delle parti e con aspettative in merito all’esito del processo completamente differenti rispetto alla fase inziale.
In attesa che la giurisprudenza ci aiuti nell’identificare tutte le “altre circostanze” che possono rientrare nell’ambito di applicazione della norma, di sicuro vi è che la decisione del Giudice di demandare le Parti in mediazione dovrà essere attentamente calibrata e, dell’analisi compiuta, dovrà essere dato atto attraverso la motivazione dell’ordinanza, che non potrà essere sintetica o stringata. 
Tutto questo ci porta comunque a ritenere che la decisione del Giudice sarà preceduta da una fase “istruttoria” consistente probabilmente nell’audizione delle parti, a seguito della quale il Magistrato compirà le valutazioni del caso. 

La formazione dei Magistrati
Affinché il sistema possa funzionare correttamente ed adempiere alla funzione che gli è propria, è necessario tuttavia che i Giudici siano preparati in maniera adeguata. Ed è qui che soccorre il nuovo art. 5-quinques, che impone al Magistrato di curare la propria formazione ed il proprio aggiornamento in materia di mediazione, con la partecipazione a corsi e seminari, organizzati dalla Scuola Superiore della Magistratura.
Questo rappresenta sicuramente uno degli aspetti più importanti della Riforma, poiché la previsione di strumenti formativi a vantaggio dei Magistrati dovrebbe consentire di evitare che l’istituto continui ad esistere solo sulla carta. 
Peraltro, il comma 2 dell’art. 5-quinquies dispone che la frequentazione dei seminari e dei corsi predetti, il numero e la qualità degli affari definiti con l’ordinanza di mediazione o mediante accordi conciliativi costituiscano indicatori di impegno, capacità e laboriosità del Magistrato, ai fini dell’avanzamento di carriera. A tal fine è prevista la rilevazione statistica delle ordinanze con cui il Magistrato demanda le parti in mediazione e delle controversie definite a seguito della loro adozione (art. 5-quinquies, comma 3).
Infine, viene attribuito al capo dell’ufficio il potere di promuovere progetti di collaborazione con università, ordini degli avvocati, organismi di mediazione, enti di formazione e altri enti e associazioni professionali di categoria, per favorire il ricorso alla mediazione demandata. L’auspicio è che tali progetti, in particolare quelli con le università e con gli ordini degli avvocati, portino ad un cambiamento anche nella mentalità dell’avvocatura, che spesso purtroppo rappresenta il vero ostacolo al buon esito della mediazione.

Ulteriori stimoli per le Parti
Se, pertanto, la Riforma incentiva i Magistrati a promuovere la mediazione, rimane il fatto che, nel momento in cui le Parti e i loro difensori vengono chiamati dinanzi all’Organismo di mediazione designato, si rendono necessarie delle misure che spingano anche tali soggetti ad esperire effettivamente la mediazione e a cercare di trovare una soluzione conciliativa. In questo senso, il legislatore ha provveduto sotto diversi profili.
L’articolo 8, comma 4, impone la partecipazione personale alla procedura di mediazione e consente alle parti di delegare un rappresentante soltanto se sussistono giustificati motivi e sempre che il rappresentante sia a conoscenza dei fatti e munito dei poteri di conciliare la controversia. La norma recepisce quindi l’orientamento giurisprudenziale che si è formato negli ultimi anni, quando sia i giudici di merito (si veda per esempio Trib. Milano sent. n. 7980/2021) che la Cassazione (n. 8473 del 27.03.2019) hanno affermato tali principi.
L’art. 12-bis, al comma 2, nel disciplinare le conseguenze della mancata partecipazione alla procedura di mediazione, aumenta la sanzione che il Giudice applica alla parte costituita che, senza giustificato motivo, non ha partecipato alla mediazione portandola al doppio dell’importo del contributo unificato. 
Il comma 3 della stessa norma prevede che, con il provvedimento che definisce il giudizio, il Giudice, su richiesta della parte in questo caso, possa altresì condannare la parte soccombente che non ha partecipato alla mediazione al pagamento in favore della controparte ad una somma equitativamente determinata in misura non superiore nel massimo alle spese del giudizio maturate dopo la conclusione del procedimento di mediazione. 
Entrambe le disposizioni dell’art. 12-bis richiamate si applicano tuttavia soltanto alle mediazioni che costituiscono condizione di procedibilità della domanda giudiziale (anche quindi alle demandate ma non alle volontarie).
Tale limite non si riscontra invece nelle conseguenze che l’art. 13 pone a carico della parte che ha rifiutato la proposta del Mediatore, norma che non ha sostanzialmente subito modifiche rispetto alla sua originaria formulazione.
Quando il provvedimento che definisce il giudizio corrisponde interamente al contenuto della proposta, il Giudice esclude la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice che ha rifiutato la proposta, riferibili al periodo successivo alla formulazione della stessa e la condanna al rimborso delle spese sostenute dalla parte soccombente  relative allo stesso periodo, nonché al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di un’ulteriore somma di importo corrispondente al contributo unificato. Tali disposizioni si applicano anche alle spese per l’indennità corrisposta al Mediatore e per il compenso dovuto all’esperto nominato nel corso del procedimento di mediazione.
Se, invece, il provvedimento che definisce il giudizio non corrisponde interamente al contenuto della proposta, il Giudice, se ricorrono gravi ed eccezionali ragioni, può nondimeno escludere la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice per l’indennità corrisposta al Mediatore e per il compenso dovuto all’esperto.

Conclusioni
Quale sarà l’impatto della Riforma Cartabia è difficile da prevedere. Molto sicuramente dipenderà dalla formazione dei Magistrati in materia di mediazione e da quanto il Giudice sarà capace di far comprendere alle Parti (anche attraverso la motivazione dell’ordinanza che le demanda in mediazione) i vantaggi che tale istituto può offrire, rendendo effettivo l’esperimento della procedura.
Un aiuto in tal senso dovrebbe giungere dalla nuova formulazione dell’art. 8 nel quale scompare il riferimento all’incontro informativo ed è previsto invece che, al primo incontro, il Mediatore, esposte la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione, si adoperi fin da subito affinché le parti raggiungano un accordo di conciliazione. La fase di negoziazione dovrebbe quindi iniziare immediatamente, a differenza di quanto accade ora, con l’auspicio che le Parti e gli Avvocati che le assistono cooperino in buona fede e lealmente al fine di realizzare un effettivo confronto sulle questioni controverse, così come la norma prescrive.  
Rimane tuttavia da capire quali saranno i costi imposti alle Parti per questo primo incontro    e quelli previsti per il proseguo della procedura. Il “gettone” per il primo incontro dovrà essere attentamente calibrato, al fine di non renderlo troppo oneroso, dissuadendo in tal modo le Parti dal parteciparvi, ma senza svilire l’attività spesso faticosa svolta dai Mediatori.
In conclusione, dobbiamo sperare che l’obiettivo di svuotare i Tribunali, che indubbiamente ha mosso il legislatore della Riforma, diventi un buon proposito anche per gli operatori e che la formazione aiuti a cambiare una mentalità diffusa (anche nell’ambito della Magistratura) purtroppo ancora legata all’idea che la mediazione rappresenti un semplice “formalità”.

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Chi è l'autore
Avv. Beatrice Napolitano Mediatore Avv. Beatrice Napolitano
Sono iscritta nell'Albo degli Avvocati di Padova dal 2005 e, nell'esercizio della professione forense, mi occupo prevalentemente di appalti privati, locazioni e consulenza contrattuale alle imprese. L'esperienza maturata in ambito giudiziale mi ha portata a realizzare che la causa civile si conclude quasi sempre con lo scontento di entrambe le parti. Chi "vince" impiega anni per vedere riconosciute le proprie ragioni e spesso subisce un'ulteriore frustrazione nel momento in cui deve essere data ...
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