Introduzione
Le modifiche al Codice Deontologico Forense entrate in vigore il 1° settembre 2025 hanno interessato, tra gli altri, l'articolo 62 dedicato alla mediazione, estendendo significativamente le cause di incompatibilità per l'avvocato-mediatore. L'intervento del Consiglio Nazionale Forense, pur mosso da intenti di rafforzamento dell'imparzialità, solleva interrogativi di fondo sulla proporzionalità delle misure adottate e sulla loro coerenza con la natura peculiare della mediazione civile e commerciale.
Il presente contributo intende analizzare criticamente le nuove disposizioni, evidenziando come l'equiparazione tra mediazione e arbitrato sotto il profilo delle incompatibilità, benché formalmente coerente, appaia sostanzialmente discutibile e potenzialmente lesiva dell'efficienza del sistema della mediazione obbligatoria ex D.lgs. 28/2010.
Il Quadro Normativo: Dalle Incompatibilità Formali a Quelle Sostanziali
La principale innovazione introdotta nell'articolo 62 riguarda l'estensione del concetto di "rapporto professionale ostativo" alla nomina del mediatore. La precedente formulazione limitava l'incompatibilità ai rapporti con professionisti "soci, associati o che esercitano negli stessi locali". La nuova versione estende il divieto a tutti i professionisti "con cui collabora professionalmente in modo non occasionale".
Questo passaggio segna il superamento di un criterio meramente formale - la condivisione di spazi o rapporti societari - a favore di un criterio sostanziale basato sulla stabilità e continuità della collaborazione professionale. L'intento è lodevole: prevenire che rapporti di collaborazione consolidata possano influenzare, anche inconsapevolmente, l'operato del mediatore.
Parallelamente, il nuovo comma 4 estende il divieto di intrattenere rapporti professionali post-mediazione con le parti a tutti i collaboratori non occasionali del mediatore, completando il quadro di tutela dell'imparzialità anche nella fase successiva al procedimento.
La Problematicità dell'Equiparazione: Mediazione e Arbitrato a Confronto
L'arbitro esercita una funzione sostanzialmente giurisdizionale: esamina le prove, valuta le argomentazioni delle parti ed emette un lodo che definisce la controversia con efficacia vincolante. Le parti, una volta conferito il mandato, subiscono la decisione dell'arbitro, salvi i limitati casi di impugnazione previsti dall'ordinamento. In questo contesto, l'imparzialità dell'arbitro è condizione imprescindibile per la legittimità della decisione, giustificando rigide cautele preventive.
Il mediatore, al contrario, non decide alcunché. La sua funzione si sostanzia nell'agevolare la comunicazione tra le parti, nell'aiutarle a identificare i reciproci interessi e nel facilitare la ricerca di soluzioni condivise. L'accordo di mediazione nasce esclusivamente dalla volontà delle parti, che mantengono in ogni momento il pieno controllo sull'esito del procedimento.
Questa differenza strutturale non è meramente formale, ma tocca l'essenza stessa dei due istituti. Mentre l'arbitrato sostituisce l'etero-composizione giudiziaria con quella arbitrale, la mediazione mira all'auto-composizione, valorizzando l'autonomia negoziale delle parti.
Come può, allora, la conoscenza o collaborazione con uno degli avvocati delle parti influenzare l'esito di un procedimento che rimane interamente nella disponibilità delle parti stesse? Il rischio di "influenza" - ammesso che sussista - può essere neutralizzato dalle parti attraverso il semplice rifiuto dell'accordo proposto.
A differenza dell'arbitrato, dove una decisione parziale diventa immediatamente vincolante, nella mediazione qualsiasi tentativo di orientare la procedura verso soluzioni favorite può essere respinto dalle parti, che conservano intatto il loro potere di valutazione e decisione.
I Rischi Concreti: Tra Percezione e Sostanza
L'unico rischio concreto che le nuove disposizioni sembrano voler fronteggiare è quello della parzialità percepita: la sfiducia che le parti potrebbero nutrire verso un mediatore legato da rapporti professionali con l'avvocato della controparte.
Questo rischio, pur reale, va valutato in termini di proporzionalità. La mediazione si basa sulla fiducia reciproca e sulla buona fede delle parti; se una parte non si fida del mediatore proposto, può sempre richiederne la sostituzione o interrompere il procedimento. Gli strumenti di tutela già esistenti nell'ordinamento appaiono quindi sufficienti a fronteggiare questo tipo di problematica.
Le nuove incompatibilità rischiano di produrre effetti particolarmente gravosi nei distretti giudiziari di minori dimensioni, dove la rete di rapporti professionali è naturalmente più fitta. In contesti territoriali ristretti, l'applicazione rigorosa delle nuove regole potrebbe rendere incompatibili la maggior parte degli avvocati-mediatori disponibili, creando paradossalmente un vulnus al diritto delle parti di accedere tempestivamente alla mediazione.
Le Contraddizioni Sistematiche
La mediazione obbligatoria, introdotta dal D.lgs. 28/2010 e successivamente modificata, nasce con finalità precise: deflazionare il carico giudiziario, accelerare la risoluzione delle controversie, ridurre i costi della giustizia. Le nuove incompatibilità rischiano di produrre effetti contrari a questi obiettivi, determinando una complicazione dell'accesso per maggiori difficoltà nel reperimento di mediatori disponibili, un rallentamento dei procedimenti per tempi più lunghi necessari alla nomina del mediatore, e un aumento dei costi per la necessità di ricorrere a mediatori di altri distretti.
Le nuove regole creano inoltre una asimmetria competitiva a sfavore degli avvocati-mediatori rispetto ai mediatori non legali, che non sono soggetti alle stesse limitazioni. Questa disparità appare particolarmente problematica in un sistema che valorizza la competenza tecnico-giuridica del mediatore nelle controversie civili e commerciali.
Alternative Normative: Verso un Approccio Equilibrato
Un approccio più equilibrato avrebbe potuto privilegiare la trasparenza rispetto ai divieti assoluti. L'obbligo di disclosure dei rapporti di collaborazione significativa, accompagnato dalla possibilità per le parti di confermare l'incarico dopo piena informativa, avrebbe garantito la trasparenza senza compromettere l'operatività del sistema.
L'introduzione di criteri oggettivi di rilevanza - economica, temporale, o di intensità - avrebbe consentito di distinguere tra collaborazioni occasionali e rapporti effettivamente suscettibili di generare conflitti di interesse, evitando l'attuale approccio "a maglie larghe".
Un sistema che consenta alle parti, dopo adeguata informativa, di rinunciare all'incompatibilità avrebbe rispettato maggiormente l'autonomia negoziale che costituisce il fondamento della mediazione, coerentemente con la natura privatistica del procedimento.
Profili di Diritto Comparato
I principali ordinamenti europei adottano approcci più flessibili. In Francia, la mediazione giudiziaria prevede l'obbligo di disclosure ma consente alle parti di confermare l'incarico dopo informativa completa. In Germania, il focus è posto sulla trasparenza e sul consenso informato delle parti piuttosto che su divieti assoluti. Nel Regno Unito, il sistema privilegia la flessibilità e l'autonomia delle parti nella scelta del mediatore.
Questi modelli dimostrano che è possibile tutelare l'imparzialità del processo senza ricorrere a divieti rigidi che rischiano di compromettere l'efficienza del sistema.
Le Implicazioni per il Futuro della Mediazione
Le nuove disposizioni rischiano di trasformare la mediazione da strumento agile ed efficiente in procedimento burocratizzato, caratterizzato da complesse verifiche preliminari e lungaggini procedimentali estranee alla sua natura.
L'equiparazione con l'arbitrato sotto il profilo delle incompatibilità potrebbe trasmettere il messaggio che la mediazione sia un procedimento "pericoloso" che richiede cautele estreme, scoraggiando il ricorso allo strumento e contraddicendo gli sforzi per promuoverne la diffusione.
La riduzione del bacino di mediatori disponibili potrebbe comportare una perdita di specializzazione settoriale, con mediatori costretti a operare in aree estranee alla loro competenza per evitare conflitti nelle materie di specializzazione.
Proposte di Riforma
Sarebbe opportuno distinguere tra incompatibilità assolute, limitate ai casi di rappresentanza diretta delle parti negli ultimi 24 mesi, e incompatibilità relative, estese ai rapporti di collaborazione significativa ma superabili con il consenso informato delle parti.
L'introduzione di soglie quantitative (numero di collaborazioni, valore economico, durata temporale) consentirebbe di distinguere tra rapporti effettivamente rilevanti e collaborazioni episodiche.
L'introduzione di procedure per la deroga motivata alle incompatibilità, previo consenso delle parti e parere dell'organismo di mediazione, garantirebbe flessibilità operativa senza compromettere le finalità di tutela.
Conclusioni
Le modifiche all'articolo 62 del Codice Deontologico Forense, pur animate da intenti condivisibili di rafforzamento dell'imparzialità, appaiono sproporzionate rispetto alla natura e alle finalità della mediazione civile e commerciale.
L'equiparazione formale con l'arbitrato ignora le profonde differenze strutturali tra i due istituti: mentre l'arbitro emette decisioni vincolanti, il mediatore si limita a facilitare decisioni che restano integralmente nella disponibilità delle parti.
Il rischio concreto è che queste nuove disposizioni, pensate per tutelare un'imparzialità che nella mediazione ha significato diverso rispetto all'arbitrato, finiscano per compromettere l'efficienza del sistema senza apportare benefici sostanziali alla qualità del servizio reso.
Un approccio più equilibrato dovrebbe privilegiare la trasparenza e il consenso informato delle parti, rispettando la natura collaborativa della mediazione e l'autonomia negoziale che ne costituisce il fondamento. La specificità della mediazione merita una disciplina ad hoc che non importi meccanicamente regole pensate per procedure con natura e finalità diverse.
La sfida per il futuro è trovare il giusto equilibrio tra tutela dell'imparzialità ed efficienza del sistema, evitando che il formalismo prevalga sulla sostanza e che la mediazione perda quella agilità che ne costituisce uno dei principali vantaggi competitivi rispetto alla giustizia ordinaria.
Solo attraverso una riflessione approfondita sui principi che sottendono la mediazione sarà possibile sviluppare una disciplina deontologica che ne rispetti la natura peculiare, garantendo al contempo quella fiducia nel sistema che costituisce il presupposto indispensabile per il suo successo.