La procedura di mediazione, come qualunque altro procedimento, ha una conclusione che, tuttavia, può non coincidere con la definizione effettiva e finale dei rapporti controversi.
Il momento conclusivo dei procedimenti, sia giudiziali che stragiudiziali, può essere costituito da un accordo tra le parti o da un provvedimento di un soggetto terzo (sia esso un giudice o un arbitro).
Tra le varie tipologie di Accordo, bisogna poi distinguere tra
- quelli aventi ad oggetto diritti tutelati dall'ordinamento e
- la variegata serie di intese che, non inerendo diritti, si traducono in impegni, manifestazioni di volontà e intendimenti privi di valore giuridico.
Il Contenuto dell'accordo assume rilevanza, in quanto, a seconda del suo contenuto, differiscono le conseguenze della sua inosservanza.
In caso di Accordi aventi ad oggetto intese, manifestazioni di volontà, intendimenti privi di valore giuridico e, come tali, non determinanti l'insorgere di diritti nè di obbligazioni, l'assenza di tutela da parte dell'ordinamento comporta che anche il loro inadempimento avrà conseguenze al di fuori dell'ordinamento giuridico, non potendo sfociare in alcun tipo di azione giudiziale. Come è noto, infatti, l'esercizio dell'azione giudiziale presuppone l'esistenza di un diritto tutelato che sia stato leso e da far valere. In difetto, l'azione sarebbe dichiarata inammissibile per assenza di interesse.
Riguardo invece alla seconda macro categoria degli Accordi aventi ad oggetto diritti tutelati dall'ordinamento, il loro inadempimento non determinerà conseguenze univoche. Infatti, se l'oggetto dell'accordo non è l'obbligo al pagamento di una somma di denaro, nè la consegna di un bene mobile o il rilascio di un bene immobile, nè infine l'obbligo ad un "facere" o ad un "non facere", ovvero se l'oggetto dell'accordo non rientra in quelle categorie, che in giudizio potrebbero portare ad una sentenza di condanna, l'inosservanza della pattuizione potrebbe sfociare solo in un giudizio, che a sua volta non potrebbe che concludersi con una sentenza dichiarativa, di condanna o costitutiva, a seconda degli interessi lesi e dei diritti violati.
Tutto cambia, invece, nel caso in cui l'Accordo abbia quale oggetto il pagamento di somme di denaro, consegna o rilascio di beni (mobili o immobili) o, ancora, obblighi di fare e/o non fare.
Altro elemento da considerare, poi, è il fatto che, in sede di accordo, le parti abbiano previsto i tempi di adempimento delle menzionate obbligazioni, posto che, in difetto, dovrebbe aversi riguardo a quanto stabilito dall'art. 1183 c.c., secondo cui, ove per gli usi o la natura dell'obbligazione questa non possa avere esecuzione immediata, la parte che intenda ottenere l'esecuzione dell'accordo dovrà preliminarmente chiedere al giudice la fissazione di un termine di adempimento. Ove, invece, le parti abbiano stabilito un termine di adempimento dell'accordo, troveranno applicazione le regole dettate dall'art.1184 e ss. C.C.
Passando quindi a considerare le diverse tipologie di Accordo, in ragione non dell'oggetto della convenzione ma della procedura negoziale che ha portato al raggiungimento della conciliazione, bisogna distinguere tra le conciliazioni concluse all'interno o al di fuori del processo.
Per le conciliazioni giudiziali valgono le regole del codice di procedura civile.
La peculiarità primaria di queste è rappresentata, oltre che dalla conclusione del processo, dall'efficacia di titolo esecutivo riconosciuta al verbale di conciliazione (v. art. 185 e 420 c.p.c.), che, come ogni provvedimento giudiziale che concluda il giudizio o costituisca titolo esecutivo, è soggetto alla registrazione (con oneri variabili a seconda del suo valore).
Nel caso di conciliazioni stragiudiziali si deve fare riferimento agli articoli 1965 e ss. del codice civile. In tale ipotesi, stante la natura contrattuale dell'atto di transazione, il suo inadempimento determina, da un lato, l’insorgere di una responsabilità ex art. 1218 c.c. ed una correlata obbligazione risarcitoria in capo al soggetto inadempiente; dall’altro, il diritto del creditore di chiedere la risoluzione del contratto od il suo adempimento, oltre ovviamente al risarcimento dei danni.
In ogni caso, sia per l'adempimento di quanto pattuito che per la risoluzione dell'accordo transattivo, che infine per il risarcimento dei danni patiti a causa dell’inadempimento, il titolare del diritto leso è legittimato ad agire giudizialmente con gli strumenti all’uopo concessi dal codice di rito. Anche in questo caso il processo, poi si concluderà con una sentenza dichiarativa, di condanna o costitutiva che, in caso di inosservanza da parte del soccombente potrà essere posta in esecuzione.
Se però, l’esperimento di detta domanda giudiziale è soggetta alla condizione di procedibilità stabilita dall’art. 5 del D.Lgs n.28/2010 o da quella eventualmente convenuta proprio in sede di transazione, il titolare del diritto leso è tenuto ad esperire preliminarmente il procedimento di Mediazione in forza del citato art.5 o dell'art. 5sexies (introdotto dall'art.7 comma 1 lett. e) del D.lgs. n.149/2022).
Questa esigenza è stata sottolineata dalla Riforma Cartabia che, non limitandosi a ribadire la facoltà/onere per il giudice di mandare le parti in mediazione ove rilevi il mancato esperimento della stessa, ha introdotto una modifica al contenuto dell'atto introduttivo del giudizio stabilendo che, a partire dal 28.02.2023, "la domanda soggetta alla condizione di procedibilità" debba indicare "l'assolvimento degli oneri previsti per il suo superamento" (art.3 comma 12, lett. a D.Lgs, 10.10.2022 n.149 che ha inserito il punto 3bis al comma 2 dell'art.163 c.p.c., richiamato per il nuovo procedimento semplificato dall'art. 281 undecies c.p.c.).
Per completezza sul punto, si rammenta che, ove la controversia non si concluda con un accordo ma sfoci in un giudizio, questo è definito con sentenza. Tuttavia anche questa può non coincidere con la fine della controversia. Ne sarebbe la fine, infatti, solo nel caso in cui la parte soccombente provveda spontaneamente a quanto disposto dal giudice; in caso contrario, la parte vittoriosa, sempre che, stanca e logorata da anni di contenzioso, non preferisca rinunciare a vedere tutelato e/o ripristinato il suo diritto, sarà costretta a ricorrere agli strumenti previsti dal Libro III del codice di rito per l'esecuzione coattiva.
Analogo è il caso in cui le parti, lungi dal raggiungere un accordo, siano ricorse all'arbitrato; il tal caso questo sarà definito con Lodo, suscettibile a sua volta di impugnazione in caso di nullità ed oggetto di esecuzione coattiva secondo le norme del codice.
In questo quadro si inserisce il procedimento della mediazione civile e commerciale, che, se certo non costituisce una tipologia di procedimento giudiziale, si differenzia e presenta peculiarità importanti anche rispetto agli altri procedimenti stragiudiziali di definizione delle controversie.
A tal riguardo merita attenzione la fase dell’accordo in mediazione ed il suo inadempimento, essendo stati oggetto di una evoluzione normativa importante.
Il testo originario dell'art.12 del D.Lgs. n.28/2010, infatti prevedeva una specifica procedura che la parte era onerata a porre in essere ogni qual volta gli accordi assunti in mediazione non fossero stati rispettati. In tal caso, infatti, "il verbale di accordo, il cui contenuto non è contrario all'ordine pubblico o a norme imperative" sarebbe dovuto essere "omologato, su istanza di parte e previo accertamento della regolarità formale, con decreto del presidente del Tribunale nel cui circondario ha sede l'organismo".
Il legislatore del 2010, introducendo nell'Ordinamento italiano la mediazione civile e commerciale, non prevedendo l'obbligatorietà dell'assistenza legale, si era infatti posto il problema della necessità di un controllo (che non sarebbe potuto che essere giudiziale) sulla validità ed efficacia di un accordo tra soggetti che ben avrebbero potuto essere privi di qualsiasi competenza giuridica. Posto che, infatti, l'accordo è delle parti e non del mediatore (che, infatti, sin da quella prima disciplina non era tenuto nè legittimato a sottoscriverlo), il legislatore aveva ben presente la necessità di evitare che uno strumento tendenzialmente deflattivo si traducesse esso stesso in una fonte di contenziosi (circostanza inevitabile in presenza di accordi nulli o annullabili). Per scongiurare questo rischio, ogni qualvolta gli accordi presi in mediazione non fossero stati puntualmente rispettati dalle parti, si era quindi prevista la necessità di un intervento giudiziale: nel caso di specie da parte del presidente del tribunale e con il ricorso ad una procedura semplificata e snella, quale quella dell'omologazione dell'accordo (analoga a quella che era prevista per gli accordi conclusi dai coniugi in sede di separazione).
Come è noto la materia ha visto l'intervento della Corte Costituzionale (cfr. sentenza n.272 del 06.12.2012), a seguito della quale il legislatore ha introdotto importanti modifiche alla disciplina della Mediazione con il D.L. n.69/2013, convertito con modificazioni dalla Legge 09.08.2013 n.98.
La modifica primaria ha riguardato la previsione dell'assistenza legale obbligatoria nelle procedure la cui domanda sia soggetta alla condizione di procedibilità, così responsabilizzando gli avvocati, resi garanti compartecipi del procedimento ed elemento imprescindibile della fase attuativa dell'accordo.
A riprova di questo si osservi: mentre nella sua formulazione originaria l'art.12 esordiva ponendo l'accento sul verbale di accordo e sul suo contenuto ("il verbale di accordo, il cui contenuto non è contrario [...], è omologato), con la riforma del 2013 l'attenzione si sposta primariamente sui soggetti che hanno partecipato alla procedura di mediazione e, nello specifico, alla presenza o meno degli avvocati ("ove tutte le parti aderenti alla mediazione siano assistite da un avvocato"), per poi chiarire che in detto caso, e solo in detto caso, varrà la nuova regola.
Altro elemento meritevole di attenzione è che la nuova regola è valida a prescindere dalla natura obbligatoria o facoltativa della mediazione, ma ha quale presupposto l'assistenza legale in mediazione: anche in quelle mediazioni non rientranti nell'elenco di cui all'art 5 del D.Lgs.28/2010 (per le quali la mediazione costituisce condizione di procedibilità della domanda) in cui le parti ben potrebbero raggiungere un accordo senza legali. Se però, nonostante la non obbligatorietà, dovessero decidere di farsi assistere dall'avvocato, potranno avvantaggiarsi di un quid pluris.
Ciò che garantisce questo "quid" non è, però, la partecipazione pura e semplice dell'avvocato ma la certificazione che questi è chiamato ad effettuare.
Sul punto la nuova formulazione dell'art.12 potrebbe dare luogo a qualche dubbio interpretativo raffrontando il primo ed il secondo periodo del comma 1, che testualmente recitano: "Ove tutte le parti aderenti alla mediazione siano assistite da un avvocato, l'accordo che sia stato sottoscritto dalle parti e dagli avvocati costituisce titolo esecutivo [...]. Gli avvocati attestano e certificano la conformità dell'accordo alle norme imperative e all'ordine pubblico".
Dall'incipit della norma sembrerebbe che ai fini della validità dell'accordo quale titolo esecutivo sia sufficiente la mera assistenza dell'avvocato e non anche l'attestazione e certificazione di conformità all'ordine pubblico ed alle norme imperative di cui al 2° periodo. Se ciò fosse vero dovrebbe concludersi, però, per la sostanziale irrilevanza dell'attestazione/certificazione da parte dell'avvocato.
La formula adottata dal legislatore dev'essere invece interpretata in modo differente ed in senso conforme alla ratio della norma. Non si deve trascurare al riguardo la formulazione del 2° periodo ("Gli avvocati attestano e certificano ...") una formula questa che non lascia spazio a dubbi. Il legislatore afferma una attività la cui assenza non è neanche ipotizzata, tanto che non si prevede alcunchè in caso di sua assenza. Si reputa quindi che in tal modo il legislatore abbia voluto evidenziare come detta attività di certificazione sia implicita ed imprescindibile nell'attività di assistenza svolta dall'avvocato in mediazione: assistenza, quindi, che tale non sarebbe se nell'atto conclusivo dell'accordo non si esplicitasse anche la certificazione; attività che sola consentirebbe a quell'accordo di essere titolo esecutivo.
Da ciò ne consegue che, perchè l'assistenza sia tale o l'avvocato certifica la conformità dell'accordo alle norme imperative e all'ordine pubblico o, in difetto, la mediazione deve concludersi con un verbale di mancato accordo, dato che questo non solo sarebbe privo dell'efficacia di titolo esecutivo, ma potrebbe essere nullo per non conformità alle norme imperative e all'ordine pubblico (nel qual caso l'inefficacia di titolo esecutivo costituirebbe solo un corollario della nullità dell'accordo).
L'assenza di questa certificazione da parte dell'avvocato, si reputa, inciderebbe anche sul diritto dell'avvocato al compenso per l'assistenza in mediazione, posto che, come sopra evidenziato, l'assistenza non sarebbe tale (alias non sarebbe stata svolta in maniera diligente, secondo i canoni di cui all'art.1176 2° comma e 2236 c.c. ) se, in caso di accordo, non si concludesse con la certificazione dell'avvocato circa la validità e non nullità dell'accordo.
Altro profilo interessante sarebbe rappresentato dal caso in cui la parte voglia comunque concludere l'accordo, seppur avvisata dal suo avvocato circa i profili di nullità del medesimo.
Si reputa che in detta ipotesi l'avvocato che non voglia assumersi la responsabilità di certificare la validità di un accordo nullo, non abbia altra strada che quella di rinunciare al mandato, sempre che non voglia incorrere in responsabilità civili/professionali e deontologiche; responsabilità in cui si reputa incorrerebbe anche nel caso in cui, convinto di avere fatto tutto ciò che gli compete avvisandolo dei rischi, consentisse al suo cliente di sottoscrivere un accordo nullo. In detto caso, infatti, l'assistenza in mediazione non sarebbe stata svolta in maniera diligente; diligenza che al contrario vi sarebbe ove, in assenza dei presupposti per un valido accordo ritualmente certificato, la procedura si concludesse con un mancato accordo o, in ragione delle insistenze del cliente, si interrompesse il rapporto cliente-avvocato con la revoca o la rinuncia al mandato (ipotesi che consentirebbe all'avvocato di maturare il diritto al compenso).
In presenza di questa certificazione dell'avvocato, il legislatore del 2013 (e la previsione non ha subito modifiche rilevanti ad opera della Riforma Cartabia del marzo 2024) ha ritenuto che quel ruolo di garanzia, inizialmente svolto dal Presidente del Tribunale, sia assolto dagli avvocati.
Pertanto ove il contenuto dell'accordo sia riconducibile ad un obbligo di pagamento somme, consegna beni immobili, rilascio immobili o esecuzione di obblighi di fare o non fare, ove la parte obbligata rimanga inadempiente, l'altra parte non avrà necessità nè di omologare (come in passato) nè di notificare l'accordo, ben potendo solo "integralmente trascrivere" il medesimo nell'atto di precetto, ai sensi dell'art.480 comma 2° c.p.c.
Come detto ciò è possibile anche nel caso di mediazioni volontarie e mediazioni espletate in forza di clausola contrattuale o statutaria, ma non rientranti nell'elenco di cui all'art.5 del D.Lgs. nè demandate dal giudice ex art.5 quater del decreto, ma solo a condizione che TUTTE le parti siano state assistite da un avvocato. La norma è chiara e coerente alla sua finalità
Il ruolo degli avvocati, quali garanti del contraddittorio, assume qui una rilevanza addirittura maggiore rispetto a quella dello stesso mediatore.
Bisogna infatti considerare che l'accordo potrebbe essere raggiunto anche con la adesione delle parti alla proposta del Mediatore, il quale, ai sensi dell'art.14 comma 2 lett.c) è tenuto a formulare proposte "nel rispetto del limite dell'ordine pubblico e delle norme imperative". Apparentemente non sembrano esserci quindi differenze rispetto al caso in cui l'accordo promani direttamente dalle parti: in entrambi i casi, ai fini della sua validità, l'accordo deve essere rispettoso dei menzionati medesimi parametri. Ciò che cambia, però, è che da un lato il mediatore non risulta tenuto a certificare la conformità alle norme imperative e all'ordine pubblico, pur dovendosi attenere alle stesse, pena la nullità della proposta e del conseguente accordo (pena la responsabilità sua e dell'Organismo); dall'altro se anche certificasse la conformità, ciò non sarebbe sufficiente a conferire al verbale di accordo il valore di titolo esecutivo. In questo il ruolo e la figura del mediatore diverge sostanzialmente non solo da quella del giudice ma anche da quella degli avvocati, che, in mediazione, con la loro assistenza congiunta svolgono quel ruolo di garanzia per le parti, che altrimenti l'ordinamento riconosce solo al giudice.
Per detta ragione, perché l’accordo abbia valore di titolo esecutivo tutte le parti, nessuna esclusa, devono essere assistite da un avvocato che garantisca il contraddittorio e attesti la validità dell’accordo.
Passando quindi alla fase esecutiva dell’accordo, in virtù dell'art.11 comma 5 così come modificato da ultimo dal D.Lgs. n.149/2022, alle parti viene rilasciato un originale dell'accordo, sia che questo si elaborato in formato digitale o analogico, come tale costituente il titolo esecutivo ai sensi dell'art. 474 c.p.c., non necessitante dell’apposizione della formula (per altro eliminata anche per gli altri titoli dalla riforma Cartabia), né, come detto, della notifica all’esecutato.
Il precetto, poi, deve contenere la trascrizione integrale del titolo (alias verbale di accordo in mediazione), ma prima della sua notifica l'ufficiale giudiziario deve certificare di avere riscontrato che la trascrizione corrisponde esattamente al titolo originale, ai sensi dell'art.480 comma 2 c.p.c.
In proposito di recente il Tribunale di Bergamo con la sentenza n.2085/2023 ha rigettato l'opposizione fondata su detta mancata certificazione da parte dell'Ufficiale Giudiziario. Il rigetto, tuttavia, non è stata determinato dalla reputata non necessità della certificazione prevista dall'art.480 c.p.c., bensì dalla circostanza che, ferma l'assenza della certificazione, l'opponente non solo non aveva contestato la conformità della trascrizione dell'accordo al suo originale ma, si era addirittura avvalso del testo dell'accordo per svolgere pienamente le sue difese, evidenziando il carattere puramente formale e strumentale dell'eccezione e non una lesione del diritto dell’esecutato (fondante la prescrizione del codice).
La citata sentenza, invece, non appare condivisibile sotto un altro profilo.
Nel caso di specie, l'accordo in mediazione prevedeva l'esecuzione di un obbligo di fare per il quale le parti non avevano previsto un termine di adempimento.
Il Tribunale di Bergamo ha ritenuto che la parte avrebbe quindi dovuto mettere in mora la controparte inadempiente, indicandogli un termine per la realizzazione delle opere, solo scaduto il quale avrebbe potuto azionare la procedura esecutiva.
Tuttavia sotto il profilo processuale un titolo esecutivo è un titolo esecutivo per cui, in assenza di un termine diverso, può essere azionato immediatamente.
Per altro anche sotto il profilo sostanziale, ai sensi dell'art.1183 c.c. "se non è determinato il tempo in cui la prestazione deve essere eseguita, il creditore può esigerla immediatamente", salvo che in virtù degli usi o per la natura della prestazione, ovvero per il modo ed il luogo dell'esecuzione, non sia necessario un termine: in detto caso in assenza di accordo tra le parti questo dovrà essere stabilito dal giudice.
Si reputa, pertanto che, se non si vogliono compromettere tutti i vantaggi garantiti dall'accordo di mediazione (in termini di una più rapida e meno onerosa soddisfazione degli interessi convenzionalmente regolati con l’accordo), sia senz'altro opportuno che le parti (o il mediatore in sede di proposta), inseriscano sempre anche il termine di adempimento di ogni obbligazione.