Mediazione e condizione di procedibilità dopo la riforma Cartabia

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Avv. Micaela  Sedea

L'art. 5 D. lgs. 28/2010, come modificato dalla riforma Cartabia, garantirà un maggiore e più serio ricorso al procedimento di mediazione prima dell'avvio del giudizio?

A cura del Mediatore Avv. Micaela Sedea da Padova.
Letto 13427 dal 25/05/2023

 
1. Coordinamento tra l'art. 5 D. Lgs. 28/10 e art. 163 cp.c.
 
L'art. 5, comma 2, del Dlg. 28/2010, così come modificato dalla Riforma Cartabia, prevede che: “Nelle controversie di cui al comma 1 l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale” e tale disposizione parrebbe conciliarsi perfettamente con il nuovo testo dell'art. 163, n. 3, comma 3bis, c.p.c. che prevede che “l'indicazione, nei casi in cui la domanda è soggetta a condizione di procedibilità, dell'assolvimento degli oneri previsti per il suo superamento.
Quindi, se il testo dell'art. 5 sopra citato si limitasse a statuire quanto riportato dovremmo poter dire, con una sufficiente dose di certezza, che se l'attore non indica nell'atto di citazione di aver esperito il tentativo di mediazione, qualora la stessa sia obbligatoria o delegata, il giudice dovrebbe dichiarare improcedibile la domanda. 
Questa certezza invece non l'abbiamo perché il testo dell'art. 5 cit. procede statuendo che “l’improcedibilità è eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d’ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza. Il giudice, quando rileva che la mediazione non è stata esperita o è già iniziata, ma non si è conclusa, fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all’articolo 6. A tale udienza, il giudice accerta se la condizione di procedibilità è stata soddisfatta e, in mancanza, dichiara l’improcedibilità della domanda giudiziale”. 
 
2. Analisi della norma in esame: le due ipotesi.
Leggendo la seconda parte della norma, quindi, si capisce che si possono verificare due diverse ipotesi:

1.l'attore nell'atto introduttivo del giudizio non indica di aver assolto la condizione di procedibilità (art. 163 n. 3bis c.p.c.) e nessuno lo eccepisce: né la controparte né il giudice. Poiché l'art. 164 c.p.c. prevede espressamente i casi di nullità dell'atto di citazione e l'ipotesi di cui all'art. 163, n. 3bis non è inclusa, bisognerà ritenere che la mancata indicazione, da parte dell'attore, di aver assolto all'onere di esperire la mediazione, non influirà sulla validità dell'atto, ma lo renderà solo “astrattamente” improcedibile nell'ipotesi in cui il giudice o la controparte la eccepiscano e l'attore non promuova la procedura nel termine concessogli.
Il giudizio, quindi, potrà procedere senza alcun ostacolo sia in primo grado che nell'eventuale appello. Interessante sottolineare, infatti, che anche nei casi di mediazione obbligatoria la Corte di Cassazione, con sentenza n. 22736/2021, confermando il proprio precedente orientamento (Cass. n. 25155/2020), ha statuito che in mancanza di tempestiva eccezione o rilievo d’ufficio dell’improcedibilità, “il giudice di appello può disporre la mediazione ma non vi è obbligato, neanche nelle materie indicate dall’art. 5 comma 1 bis, atteso che in grado d’appello l’esperimento della mediazione costituisce condizione di procedibilità della domanda solo quando è disposta discrezionalmente dal giudice ai sensi dell’art. 5 comma 2”;

2.l'attore nell'atto introduttivo del giudizio non indica di aver assolto la condizione di procedibilità e la circostanza viene eccepita dalla controparte o dal giudice. In questo caso l'improcedibilità non opera immediatamente ed automaticamente, ma il giudice si limiterà a rinviare la causa concedendo alle parti i termini per l'avvio ed espletamento della mediazione e solo nel caso in cui non venga avviata nel termine concesso, dichiarerà l'improcedibilità della domanda. 
In questo caso mi sorge spontanea una domanda: poiché la norma prevede solo le due ipotesi della mediazione non esperita o di quella iniziata e non ancora conclusa, che succede nel caso in cui la mediazione non sia stata validamente esperita?

3. L’orientamento giurisprudenziale in tema di effettivo esperimento del tentativo di mediazione.
La giurisprudenza è ormai abbastanza pacifica nel ritenere che la mediazione, per essere validamente esperita, richiede che le parti abbia concretamente e realmente tentato di trovare un accordo e che la mancata adesione, così come la dichiarazione di non voler entrare in mediazione al primo incontro possono essere ritenuti dal giudice condizioni non sufficienti per ritenere esperito il tentativo di conciliazione (tra le più recenti Tribunale di Forlì sent. n. 59/2023 nella quale il giudice ha statuito che non solo occorre che le parti siano presenti al cd "incontro filtro", ma che solo all'esito di tale incontro, avente funzione meramente informativa, inizia la procedura di mediazione vera e propria, sicché soltanto da questo momento in poi le parti possono legittimamente abbandonare le trattative).
Credo si debba ritenere che, pur non essendo stata prevista tale ipotesi dal legislatore, dovrà essere applicata la medesima disciplina stabilita per il mancato esperimento: una mediazione non validamente esperita non potrà, infatti, essere sanzionata con una dichiarazione d'improcedibilità, essendo sicuramente fattispecie meno grave di quella di una mediazione non attivata. Anche in questo caso, quindi, ritengo che il giudice dovrà assegnare alle parti un termine per avviare la mediazione e solo nell'ipotesi in cui questo non venga rispettato o la mediazione non venga concretamente esperita, dichiarare improcedibile l'azione!

4. Osservazioni conclusive. 
A mio modesto avviso sarebbe stato auspicabile, per poter dare reale peso e valore al procedimento di mediazione – la cui finalità dovrebbe essere quella di sgravare i Tribunali dalle cause che possono essere risolte senza l'intervento del giudice, ma che ancor oggi è vista da molti solo come una “fastidiosa” tappa da percorrere prima di poter avviare il giudizio - che l'improcedibilità della domanda fosse stata prevista come conseguenza automatica ed immediata al mancato “serio” esperimento del tentativo di mediazione. 
L'art. 5 cit., così come è formulato, invece, permette – di fatto – alle parti di poter aggirare il dettato normativo avviando un giudizio senza aver concretamente esperito la mediazione o avendolo fatto solo come passaggio formale (penso ai casi in cui le parti al primo incontro dichiarano che non ci sono i presupposti senza, invero, neppure essere entrati nel merito della questione). 
Ed, infatti, in tutti i casi in cui la mediazione non è stata validamente e concretamente esperita se nessuno dice nulla la causa procede sic et simpliciter e, a meno che il giudice non decida di disporre la mediazione delegata in corso di giudizio (di primo grado o d'appello), l'istituto non troverà applicazione anche nelle ipotesi di mediazione obbligatoria. 
Se, invece, qualcuno la eccepisce … poco male...atteso che di fatto non c'è alcuna reale conseguenza: il giudice, infatti, concederà alle parti un termine per l'avvio della procedura, le parti lo rispetteranno ma spesso senza alcun serio intento ed interesse, per poi procedere con l'ennesimo lungo, costoso e sovente insoddisfacente giudizio. 
L'auspicio è che l'orientamento giurisprudenziale che si sta formando si consolidi sempre più nel ritenere necessario, ai fini dell'avveramento della condizione di procedibilità, che la mediazione venga effettivamente e concretamente tentata e, quindi, che le parti siano di fatto “costrette” ad entrare in mediazione ed a discutere fattivamente della questione. 
Credo, infatti, che una volta che sarà data alle parti la possibilità di esporre le loro ragioni, di confrontarsi e di discutere ed al mediatore l'opportunità di svolgere il suo compito, ci sarà un numero sempre maggiore di casi in cui questa procedura avrà un esito positivo. Questo permetterà non solo una notevole riduzione nel carico della giustizia, ma anche una maggior soddisfazione per le parti che in tempi brevi e con costi contenuti avranno definito, in modo reciprocamente soddisfacente, il loro problema! 

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Chi è l'autore
Avv. Micaela  Sedea Mediatore Avv. Micaela Sedea
Avvocato civilista da oltre 20 anni, mi occupo prevalentemente di diritto di famiglia, successioni, divisioni e condominio. Sono paziente, meticolosa e attenta nel mio lavoro. Dedico tempo ed attenzione a tutti gli aspetti di ogni procedura, anche a quelli in apparenza meno significativi. Credo che la mediazione permetta alle parti di avere maggior spazio e considerazione rispetto a quella che hanno in causa.





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